Costume e società si specchiano nel design

MANTOVA É tutta una questione di visione. Sì, è proprio così: a seconda di come ti poni di fronte alle cose, queste cambiano in un moltiplicarsi infinito di visioni diverse.
Con acume e stile inconfondibili, Antonio Citterio, designer e architetto milanese, noto in tutto il mondo per le sue opere, dialoga di questa poliedricità multiforme, sintomatica di costumi e ritualità che cambiano, con Beppe Finessi, architetto ricercatore al Politecnico di Milano, dal 2010 a capo del progetto editoriale Inventario. Tutto è Progetto.
«Quando vendetti il mio primo disegno ad un’azienda brianzola, avevo 19 anni e guadagnai le mie 400mila lire. Erano tanti soldi, per quei tempi e i miei non credettero li avessi guadagnati io, tanto che rischiai di prendermele di santa ragione».
Il racconto di Citterio parte dai tempi lontani, quando andava a vendere i suoi disegni con il vespino, fino ad arrivare ai grandi progetti degli ultimi anni, dall’Hotel Bulgari di Milano e Shanghai, fino alla Taipei Sky Tower, passando per il Nove di Monaco.
«Antonio, – spiega Finessi – è un’eccezione nel mondo dell’architettura, perché è passato dal design all’architettura quando solitamente succede il contrario». Perché? «Secondo la mia visione – risponde Citterio – il prodotto e il luogo in cui questo viene confezionato devono essere concepiti all’interno di uno stesso progetto globale, al quale lavora non una sola persona ma un teamwork affiatato».
L’architetto milanese introduce un altro concetto che sta prendendo sempre più piede, il co-housing. «Il modo di abitare è cambiato radicalmente con gli anni: le megalopoli saranno l’habitat naturale dell’uomo moderno e il mercato dei grattacieli ne è la chiara manifestazione. Gli edifici si svilupperanno sempre più in altezza e, mentre i piani alti saranno impegnati da abitazioni singole, piccole e assolutamente minimal, i primi piani saranno dedicati a spazi comuni dove la socialità diventerà una cifra imprescindibile del vivere».
Barbara Barison