Francesco Costa: America, istruzioni per l’uso

MANTOVA Una, nessuna, centomila. L’America raccontata (e vissuta) da Francesco Costa è, alla stregua di un personaggio pirandelliano, qualcosa di sfuggente, di molto articolato, quasi impossibile da spiegare: indecifrabile, sotto molti aspetti. Un continente, più che uno Stato. Un insieme di località spesso molto diverse tra loro. Un contenitore di megalopoli, ma anche di immensi spazi vuoti che sono anche loro, soprattutto loro, l’America. Il giornalista e autore di “Questa è l’America” (Mondadori) ieri a Palazzo San Sebastiano ha provato a svelare le caratteristiche e le contraddizioni di un luogo a noi così vicino e, al tempo stesso, così lontano.
«Quando entri nei meccanismi – ha spiegato al pubblico festivaliero – capisci le ragioni per cui esistono cose che noi europei non concepiamo». La diffusione delle armi, ad esempio, dovuta al fatto che «il monopolio della violenza, negli Usa, l’ha avuto il popolo prima ancora dello Stato», con riferimento alla conquista del West. E ancora il razzismo, eredità di secoli di schiavitù e poi successivamente di una sorta di apartheid ancora ben visibile, per dirne una, nella divisione netta dei quartieri nelle città tra la parte “bianca” e quella “afroamericana” o “ispanoamericana”.
L’America è tanti posti, ma anche tante persone diverse, e per raccontarla bisogna prima capirla, viverci dentro. In un viaggio anche letterario che dal Midwest di David Foster Wallace è arrivato al Kansas di Truman Capote e del suo “A sangue freddo”, si è finiti – inevitabilmente – a parlare di politica. Costa, a tal proposito, ha la sua opinione: «Il momento della verità – ha spiegato – non sono le prossime elezioni, ma il giorno in cui gli Stati Uniti dovranno decidere quale strada prendere: una via porta a mettere in discussione lo status quo per entrare in una nuova fase; l’altra raddoppia sul fronte della divisione etnica». (fab)