Mattia Palazzi, rush finale per il 2019

Mantova Sembra sicuro di sé, o quantomeno è sicuro di avercela messa tutta per sfrondare la concorrenza esterna e interna al proprio partito.  Mattia Palazzi sa che sarà l’uomo da battere fra poco più di un anno, quando la città sarà chiamata a rinnovare gli organismi comunali. I sondaggi lo danno vincente e gradito. Lui porta al giudizio degli elettori un ricco elenco di cose, qualcuna fatta, qualcuna da fare, e persino ciò che si dubita realizzabile per lui è comunque un dato certo. Come certo ritiene il suo appeal sugli elettori in rapporto con tutti i suoi predecessori.

Sindaco, siamo al rush finale del mandato. Conta ovviamente di ricandidarsi nella primavera del 2020?

«In tre anni e mezzo abbiamo risolto più problemi che negli ultimi quindici. Parlo di opere concrete, di 60 milioni di euro portati a Mantova da Stato, Regione e Fondazioni, e di posti di lavoro nuovi grazie alle nostre decisioni, come su Valdaro, che tre anni fa stava fallendo, e ora attrae imprese nella logistica, come Rossetto. Ma abbiamo ancora tanti progetti per la città, e io voglio che si superi definitivamente con la generazione politica che ha passato più tempo a combattersi e a distruggere che non a lavorare per la città».

E pensa di ripresentare la formula della “lista gialla”?

«In questi tre anni ho avuto la fortuna di lavorare con una squadra unita, generosa e capace, sia di giunta che di maggioranza. Ma ho avuto anche la fortuna di conoscere tanti mantovani pieni di entusiasmo e buone idee. Li coinvolgeremo tutti perchè la mia politica è non smettere mai di rinnovare. Solo così non correrò il rischio di altri politici, che sono ormai autoreferenziali perchè parlano sempre con gli stessi».

Le difficoltà che il suo partito sta attraversando la inducono a cercare consensi nell’elettorato della concorrenza?

«Il Pd a Mantova-città ha retto bene perché ha saputo cambiare. Dopodichè sono convinto che ciò che stiamo facendo come amministrazione trovi consensi trasversali perchè i cittadini prima di essere di destra o sinistra sono cittadini, e riconoscono chi lavora per la città e chi invece lavora contro. Poi alle politiche uno vota Salvini o Gentiloni; ma quando si vota il sindaco si guarda alle cose realizzate e quelle sono più concrete di ogni vuota polemica o promessa».

Ma come pensa di poter sedurre il bacino della destra, o della Lega, o dei 5 Stelle?

«In realtà qui mi pare ci pensino già da soli. Le pare possibile che di fronte a 9 milioni ottenuti dal governo Renzi per riavviare il Podestà dopo 6 anni di fermo cantiere, e col parere favorevole della corte dei Conti, i 5 Stelle (e non solo) qui abbiano provato a farli saltare? Secondo lei un cittadino, elettore 5 Stelle o leghista o di qualsiasi partito, sarà contento o no tra un anno di vedere tolte tutte le impalcature da piazza Erbe e Broletto? Secondo me sì. Quindi il punto è uno solo: noi stiamo lavorando per costruire, altri solo per distruggere».

Dopo i fuochi di capodanno, quali altri fuochi ha in serbo (tutti i sindaci a fine mandato tirano fuori l’asso nella manica a poche settimane dal voto)?

«Con oltre 300 cantieri in tre anni direi che non abbiamo aspettato la fine del mandato per stupire, perchè non mi interessa stupire ma lasciare una città più forte, più sicura, bella e più giusta di come l’ho presa. Abbiamo avuto il coraggio di mettere le mani in problemi incancreniti e fermi da decenni. Abbiamo scelto di rischiare, perché non sempre si riesce a risolverli. Tra due mesi tireremo giù il vecchio palazzetto di Porta Cerese, entro l’estate il mostro di Fiera Catena e nel frattempo partono i lavori per mettere fine alla latrina a cielo aperto di piazzale Mondadori. Faccia lei il conto da quanti anni questi tre problemi erano fermi li, senza mezza soluzione. Quante giunte sono passate in mezzo?».

Nell’ipotesi che lei vinca le prossime elezioni, crede di mantenere la stessa squadra di giunta, o ipotizza alcune varianti?

«A me ora interessa portare a termine tutti i progetti e i cantieri avviati o in programma, perché questo è il mio dovere. Parlare di giunta ancora prima delle elezioni non ha senso. Posso però dirle che sono fiero di lavorare con le persone con cui lavoro. Siamo la giunta più giovane che Mantova abbia mai avuto e guardi che non è un caso che riceviamo costanti attacchi; lo capisce anche un bambino che di fronte a nuove leadeship politiche si chiude col passato e chi da sempre è sulla scena politica non vuole che accada. Ciò di cui sono più fiero è aver portato al governo della città giovani che si stanno dimostrando di grande valore e intelligenza. Persone che parlano con tutti, senza snobismo, senza rancori, senza pregiudizi politici».

Restiamo nell’ambito del suo partito. Lei è ancora renziano?

«Ogni volta mi date un’etichetta, per dire poi che non sono “inquadrabile” in una dinamica stretta di partito. E infatti non lo sono, semplicemente perchè ragiono con la mia testa. Renzi è stato il premier che per Mantova ha fatto più di tutti gli altri premier. Parlano le cifre. E tuttora ritengo sia stato un presidente del consiglio capace e coraggioso. Dopodichè ci sono temi sui quali ho posizioni che poco c’entrano con la sua esperienza o in parte col Pd. Penso al tema dell’autonomia. Votai a favore al referendum promosso da Maroni e lo rifarei. Peccato che oggi assistiamo al governo più centralista di sempre e che punta alla decrescita bloccando infrastrutture e investimenti. Parlo con tanti amici leghisti della prima ora, e loro sanno bene che questo governo sta penalizzando il nord. Che la Lega sostenga una misura assistenzialista e centralista come il reddito di cittadinanza la dice lunga. Io sono fermamente contrario perché è pericolosa la politica che crea dipendenza con i sussidi. Io credo nella politica che porta investimenti e aiuta le imprese a fare il loro mestiere, innovarsi, esportare, assumere».

Ma come è posizionato Renzi oggi nel Pd? Lei lo frequenta ancora?

«Questo lo dirà lui se e quando vorrà. Si lo sento, così come sento spessissimo Calenda e altri esponenti nazionali e non, tra cui anche Maroni. A me piace confrontarmi, sia la mattina al bar del quartiere, sia con chi ha responsabilità nel Paese. E poi io non sono uno di quelli che volta le spalle a chi ha perso potere. Con Matteo il mio rapporto è sempre stato franco, come con tutti. Gli opportunismi non fanno per me, perchè la politica non è tutto nella vita».

Alle primarie regionali, lei si è schierato per il candidato perdente. Pensa che questo potrebbe causarle qualche problema in futuro?

«Nessuno. il candidato sindaco di Mantova non lo decide nessuno fuori da Mantova, quantomeno per noi. Detto ciò conosco Peluffo da una vita ed è persona seria che rispetta l’autonomia dei territori».

Si dice che lei abbia sondaggi in mano che le attribuiscono un altissimo gradimento. Ma su quali avversari ha testato il suo gradimento, se si può sapere?

«No, perchè mi interessa poco il dato di ipotetici candidati avversari, seppur confortante. Mi interessa molto di più aver visto che molte delle opere da noi realizzate sulle quali le opposizioni hanno fatto campagna contro, riscuotono oltre il 75% di consenso trasversalmente. E questo, a dimostrazione di come il tema per alcuni sia solo far fuori me, non certo il bene della città».

Ha ipotizzato un ritorno sulla scena di Burchiellaro e del suo “Ponte dei mulini”?

«Non faccio ipotesi: io mi occupo e preoccupo di Mantova. Mi confronterò con chunque sulle idee e sui progetti, ma anche su cosa io ho fatto e altri invece dicono. Dopodichè, io credo che la politica abbia le sue stagioni, soprattutto per chi guida. E dopo oltre 15 anni troverei singolare la cosa, e essendo un politico di esperienza credo lo sappia meglio di me. Mi permetta però una valutazione più generale, perchè credo sia una peculiarietà mantovana, che a mio parere dimostra quanto sia importante unire tutti coloro che vogliono andare avanti e non tornare indietro. Quattro anni fa si candidò alle primarie contro di me la Brioni, dopo aver perso le elezioni con Sodano. In forza Italia si parla di ricandidare sindaco Sodano; lei mi pone il tema di Burchiellaro che fu sindaco dal 1996 al 2005. Tre anni fa si parlava anche di Pezzali, che ha fatto il sindaco a Porto Mantovano per tutti gli anni ’90. Non le pare strano, al netto delle diverse esperienze, che quando la scena la prende una nuova generazione, quella precedente, invece di dare una mano, provi a riprendersi la ribalta? Ecco, io sinceramente non lo farò, e proprio per questo ho voluto una giunta giovane per guardare avanti: a forza di guardare indietro Mantova ha perso troppe occasioni, sia con la sinistra che con la destra. Quindi, chiunque si candiderà, noi non riporteremo le lancette della città a un’era politica fa».

Quale avversario immagina che le si opponga dal centrodestra? Si parla di Beduschi.

«A me Beduschi ha detto che non ci pensa minimamente; se cambierà idea ci confronteremo, ma essendo sindaco di un altro comune, conosce bene il “suo” comune».

Non teme il “populismo” leghista, che però ha limitato gli arrivi di “migranti economici”?

«Gli sbarchi sono stati ridotti da Minniti; basta guardare il sito del ministero degli interni per vederlo. Il populismo non lo temo sulle amministrative perchè io, a differenza di chi parla della gente, con la gente ci parlo e sulla sicurezza abbiamo fatto più noi della Lega che ha governato con Sodano cinque anni. Abbiamo triplicato le telecamere (prima nei quartieri non c’erano, ora quasi in tutti). Abbiamo messo la luce in parchi e giardini (prima bui) e istituito i guardiani dei parchi. Abbiamo assunto 4 agenti di Polizia locale in più e con le forze dell’ordine c’è un costante lavoro di cooperazione istituzionale. Vivo in un quartiere popolare, e so bene quanto sentirsi sicuri faccia la differenza, soprattutto per anziani e donne».

Torniamo a Mantova. Esattamente un anno fa, intervistato dalla Voce, aveva promesso una novità “atomica” “attesa da generazioni di mantovani”. Ci è sfuggita, o deve ancora arrivare? Se alludeva al protocollo con le ferrovie, parrebbe essere rimasto lettera morta. E in conseguenza, saltano tutti i bei progetti: sottopassi, eliminazione dei passaggi a livello, risoluzione del nodo di porta Cerese… Ha in mente qualcosa per rimediare?

«Spero non vi sia sfuggito perchè sarebbe grave, essendo un giornale: 340 milioni di euro dal governo Gentiloni per il raddoppio del binario Mantova-Cremona, dopo sempre, mi pare non sia poca cosa. Così come la comunicazione di Rfi che farà a sue spese il sovrappasso dal Dosso al Cimitero (quello iniziato e mai finito di 15 anni fa, per capirci). E non mollo nemmeno sul sottopasso della stazione: entro la fine del mandato voglio ottenere la garanzia con impegno economico che lo realizzeranno, e noi lo co-finanzieremo. E ci riusciremo».

Mantova capitale della cultura lascia il posto alla capitale dello sport. Eppure lo sport mantovano non naviga in acque limpidissime. Secondo lei, cosa manca da noi per ridare lustro a una “terra di campioni”?

«Veramente sono stato eletto sindaco quando il Mantova era in condizioni societarie a dir poco brutte, per non dire altro. Sono stato criticato per la scelta di dare il titolo alla cordata Di Tanno e soci, che invece ringrazio, perché senza quell’anno che ha messo in ordine la società e ridato trasparenza, dopo la brutta pagina romana, non ci sarebbe mai stata la proprietà nuova, con Setti. La Dinamica, anche grazie al Comune, sta continuando la sua esperienza. Il calcio a 5 è salito di serie e sta facendo molto bene, e anche lì abbiamo dato una mano. Dopodichè io i soldi pubblici li investo per mettere a norma le strutture, per realizzarne di nuove, come stiamo facendo per garantire sicurezza e più opportunità allo sport di base. Non faccio il manager delle società: a ciascuno il suo dovere».

È stato notato che gli eventi sportivi dell’anno non sono di gran levatura. Conviene?

«Sono 206 eventi in un anno. Un lavoro collettivo straordinario, e ringrazio associazioni e società sportive. Tra questi, molti sono eventi internazionali, dal rugby alla canoa, al motocross, e altri ancora di portata nazionale. Non vedendo un evento internazionale di calcio voi giudicate così, ma lo sport non è solo il calcio. Lo dico da tifoso del calcio».

Come giudica gli imprenditori mantovani, notoriamente restii a spendere e investire nella propria città?

«Gli imprenditori non sono tutti uguali, così come i politici. Giudicare una categoria sarebbe molto superficiale. Gli imprenditori devono innanzitutto fare il loro mestiere, che è già complicato in un paese pieno di burocrazia e indietro sulle infrastrutture. Io in questi tre anni ho dialogato molto sia con le imprese, sia con le categorie che coi singoli imprenditori. Non era mai successo che cinque imprenditori divenissero soci di Palazzo Te nemmeno nei tempi d’oro, dove c’era la Banca Agricola che finanziava tutto. Adesso è successo, così come Confindustria ha aumentato la sua partecipazione all’Università per aiutarci a sostenere il nuovo corso di laurea in ingegneria informarmatica, partito quest’anno con il triplo degli studenti ipotizzati. Io ragiono in modo semplice: se rispetto a prima questi imprenditori hanno deciso di metterci risorse e anche il loro nome, è perché hanno condiviso i progetti che ho presentato loro e ritenuto affidabili le persone che li gestiscono. Viceversa non lo farebbero mai, sono persone serie che non hanno bisogno del sindaco di Mantova per fare il loro lavoro».

Lei dice spesso che occorre “fare squadra”. Ma con chi la fa questa squadra?

«Con chiunque rifiuti la politica del veleno, del rancore e dell’invidia. Esattamente come abbiamo fatto in questi anni. Si ricorda quando Maroni e Fava hanno accolto la nostra richiesta di 4,3 milioni per Fiera catena? Si ricorda che nello stesso giorno il centrodestra cittadino disse a Fava che non doveva darceli? Ecco, questo dimostra chi sa fare squadra e chi mette il proprio interesse politico di parte prima di quello della città».

Cosa ha lasciato in eredità il forum sulla forestazione?

«Visibilità internazionale, relazioni con istituzioni e enti che possono tradursi in nuovi progetti europei e la consapevolezza ulteriore, dopo la “capitale della cultura”, che se la politica che governa Mantova ha idee e forza, la dimensione della città non impedisce di essere al centro di temi e progetti che sono il presente e il futuro di tutte le città del mondo. È stato eccezionale accogliere qui città di 40 paesi del mondo e poter far conoscere la nostra identità e la nostra storia, e insieme lavorare anche per un futuro comune».

Sul fronte della spesa, le rimproverano spesso di avere mani bucate. Ad esempio, i 2 milioni di rimboschimento pare che siano il doppio di quanto speso da Torino per lo stesso risultato. C’è qualcosa di vero?

«Sciocchezze e paragoni senza senso fatti a caso. I costi citati comprendono migliaia di piante nuove e anche la sostituizione di centinaia che vanno tolte. Comprende due nuovi boschi (Formigosa e Valletta) che partono nel 2019. Chi vuole informarsi, basta che prenda il piano approvato dalla giunta; il resto sono le solite polemiche di chi non riesce a dar senso alla propria esistenza politica se non polemizza».

Lei è convinto che la Torre della Gabbia recuperata sarà un’opportunità per la città?

«Sarà il più alto belvedere a 360 gradi su Mantova e io sono orgoglioso di essere il sindaco che la riaprirà e renderà fruibile ai mantovani dopo secoli. Abbiamo avuto l’opposizione contro pure su questa decisione. Ma come si fa a non essere tutti d’accordo su un intervento simile che restituisce alla città un suo simbolo identitario nel pieno centro storico?».

Il giorno prima della fine del suo mandato, cosa dirà ai mantovani? Quali credenziali tirerà fuori per dire loro “rivotatemi”?

«Illustrerò i progetti dei prossimi anni che stiamo già pensando e definendo e saremo credibili nel farlo, perchè in questi anni abbiamo dimostrato che ciò che abbiamo promesso lo abbiamo fatto»