Processo Zani, l’ammissione della sorella: “Gianfranco ha bruciato un vestito della moglie”

MANTOVA «Gianfranco amava i suoi figli e anche loro erano molto legati al padre, soprattutto Marco. Purtroppo mia cognata ha perpetrato ai loro danni un vero e proprio lavaggio del cervello per farli mettere contro il padre. Addirittura, per metterlo in cattiva luce inscenando finte violenze subite, era solita nascondere il telefono sotto ai vestiti e quando lui rincasava si metteva a urlare registrando così aggressioni false. Questo mi confidava mio fratello». A parlare, davanti ai giudice della Corte d’Assise, è la sorella di Gianfranco Zani, il 54enne di Casalmaggiore accusato di aver appiccato il fuoco all’abitazione coniugale, con conseguente morte per asfissia del figlio 11enne Marco, il 22 novembre di un anno fa a Ponteterra di Sabbioneta. È proseguito dunque ieri con nuove escussioni, il processo instaurato a carico dell’ex artigiano, attualmente detenuto nella casa circondariale di Pavia, per incendio doloso e omicidio volontario, fattispecie queste entrambe contestategli dalla procura in forma aggravata. La deposizione della sorella è quindi proseguita, dapprima ripercorrendo le tappe che avevano portato, a maggio-giugno 2018, all’inasprimento dei rapporti coniugali tra Zani e la 40enne, Silvia Fojotikova, tensioni queste poi sfociate in una causa di separazione consensuale. Circostanze che sempre stando al racconto della donna, avevano provocato nell’imputato una profonda depressione; per poi proseguire il proprio racconto riportando alla giuria popolare, presieduta da Enzo Rosina, quanto il fratello le avrebbe confessato, durante un colloquio in carcere, circa gli istanti precedenti alla tragedia; ovvero ammettendo di «essere entrato nella villetta di via Tasso con l’intento preciso di bruciare la biancheria intima dell’ex consorte e di aver per prima cosa verificato se in casa ci fossero i figli, chiamandoli ognuno a voce alta per nome e di come, non ricevendo alcuna risposta, avesse salito le scale dirigendosi nella camera da letto matrimoniale; li appeso ad una gruccia aveva trovato un vestito di Silvia, al quale con un accendino aveva dato fuoco. Con quel gesto voleva vendicarsi parzialmente per tutto quello che lei gli aveva fatto patire. Visto le fiamme avvolgere l’abito in fibra sintetica aveva portato fuori i cani e poi e n’era andato». Una dichiarazione questa sottesa a corroborare la tesi difensiva del danneggiamento. Tra le altre audizioni di giornata anche quella della figlia primogenita di Zani, nata 34 anni fa da un precedente matrimonio. «Mio padre – ha raccontato la teste – non è mai stato violento, ma al contrario ha sempre sofferto fin da quando la relazione con mia madre era finita. Anche Silvia lo voleva lasciare perchè aveva un altro, e per questo mi aveva scritto più volte che voleva farla finita suicidandosi.