Sotto lo sguardo di Virgilio cercando il cuore della città

MANTOVA “Frotte di turisti e mantovani in Piazza Virgiliana tra mercatini delle feste e l’immancabile vin brûlé”. Eccolo il titolo, ben esteso e un po’tradizionale, di una possibile notizia di cronaca sulla distesa di gente che ha affollato la piazza del Grande Poeta. Chissà come sono veramente le “frotte di turisti”? Che forma hanno le frotte? Lunghe e strette o larghe e spesse? Mi ha sempre intrigato il termine “frotte” anche perché dicendolo in giro poteva essere frainteso con le “flotte” e capivi dallo sguardo verso il cielo l’estenuante ricerca mentale dell’esatta attribuzione semantica.

Ma torniamo al cielo di piazza Virgiliana, grigio ma festoso. Eccoli: sparuti passanti all’ora del pranzo nella zona delle casette di legno tra ricordini e tessuti, alimentari da asporto e candele molto ma molto profumate anche da spente. Eccoli: astanti molto astanti e molto assiepati, sotto l’ora del desinare, davanti alle casette fatte a bancarelle dei cibi e delle bevande, delle minestre e dei panini, eh c’è anche il panino al cotechino, come quello delle Grazie di Ferragosto.

Meno male che non è Ferragosto di questi tempi, e il panino al cotechino sembra quasi più adatto al clima e all’atmosfera. Panino fumante con un fetta spessa di cotechino a colore fiammeggiante. Mh, che fame!  Pazienza, per noi non è ancora ora. Passeggia con eleganza un giovane coppia con passeggino blu al centro.  Ehi ciao! Ciao, come stai? Che bello vedervi a Mantova! Giovani colleghi di mestiere di azienda. Con bambina di pochi mesi che sgrana gli occhioni verso il cielo. Passeggia una coppia anziana tenendosi vicendevolmente sorretti al passo che non è, per forza di cose, più lungo della gamba. Passeggiano due signore che commentano le qualità della tovaglia ricamata appena comprata.

C’è vita sotto lo sguardo di Virgilio, che ora si allontana. No dai, siamo noi che ci allontaniamo da lui. Atmosfera sospesa al rintocco dell’ora in cui tutti sono in casa o al ristorante “con le gambe sotto la tavola”, come si dice da queste parti, e non solo da queste. Due ore dopo la piazza ha un’altra faccia, sono tutti lì. A camminare e a cercar di digerire.

Altro che frotte, queste sono folle. E continua ad arrivare gente dalla via che scende da Piazza Sordello, dall’apertura delle mura del Lungolago dove non c’è più un posto per parcheggiare, e la coda di auto a passo d’uomo si fa lunga, c’è chi dice che vada dalla rotonda di Porta Mulina alla rotonda del Castello. Accidenti che fardello!

“Ma si paga oggi il parcheggio?”, domanda un signore dall’accento spiccatamente veneto. Risponde uno del posto: “Qui si paga, c’è scritto sul cartello tutti i giorni”.  Più giù verso Mulina ci sono invece i segni dei giorni feriali. “Zè complicà”, dice il turista veneto. Scusi, ma da dove viene? “Da Rovigo, esattamente da Porto Viro!”, sentenzia con orgoglio il turista, prendendo sottobraccio la moglie. “Accipicchia!”, sussurra l’autoctono virgiliano.

Lo sguardo di una signora che passa nel frattempo è più che trasparente: sta cercando nella mente la cartina geografica appesa nell’aula delle scuole elementari per collocare più o meno esattamente questo Porto Viro. Porto Viro? Questo nome mi dice qualcosa, si avverte che pensa. Il fatto che sia in provincia di Rovigo è però già un grande aiuto. “Starà dalla parte del mare” sussurra una ingioiellata signora, come a voler rispondere, tra sé e sé, alle impertinenti domande geografiche. Da Porto Viro fino a Mantova. Un viaggio.

La folla sembra moltiplicarsi a vita d’occhio sotto lo sguardo di Virgilio. Ora non si passa quasi più agevolmente tra le casette e sui sentieri benché grandi e spaziosi. I gruppi di famiglie e amici non sono più di quattro o cinque, ma sono di dieci o quattordici componenti: delle squadre. Continuano ad entrare nella piazza della festa virgiliana gruppi e gruppetti. Ardimentose famigliole che hanno da poco abbandonato il desco dei vicini ristoranti e pensano di smaltire qui le calorie eventualmente accumulate in eccesso. Guardano l’orologio digitale che conta i passi: 5743. Ah, però. Eh, ma mancano ancora tanti passi per arrivare a 10000, dieci mila. Accidenti.

Al giovane papà, indaffarato con messaggistica d’occasione, sfugge il bambino che si fionda come un leoncino verso un sacchetto di cioccolatini. La mamma si protende, lesta anche se agghindata a festa, e salva l’infante da una quasi sicura caduta all’istante.

“Adesso fa più freddo”, dice la nonnina che ha messo gli orecchini -si vede- delle ricorrenze belle e annuali. È contenta di stare in questa piazza dove si cerca e si respira il cuore della città. E la sua storia in riva al lago di Mezzo: dall’arena al monumento e il palazzo in fondo con la scritta “Riseria”. Giardino alla francese: piante e siepi, cespugli e luminarie, alberi alti e aiuole ben curate, sentieri agevoli adatti a tutte le età, il monumento in fondo quasi a delimitare la piazza come un pre-muro dal lago, dall’intorno, dall’esterno, dal mondo di fuori.

Ricorda un po’ i Giardini Luxembourg a Parigi. E lei: “Vabbeh, dai, lì è diverso: tutto più grande, tante panchine o seggioloni, e il laghetto…” “Dicevo: quasi, quasi dicevo”, replica lui. Un gruppo, nutrito -in tutti i sensi-, di turisti tedeschi solca il sentiero verso via Fratelli Cairoli, con passo deciso. C’è chi scorge in mezzo ai rami la punta del campanile di Sant’Andrea e chiede come si arriverà là. Non certo per i tetti.

Un bisbiglio dal suono più nostrano ci fa capire che il problema del parcheggio nei paraggi, in questa giornata di festa, sta diventando ancora più grave. Tutto pieno in piazza, tutto pieno oltre le mura. “Veniamo da Guastalla, abbiamo trovato un solo posto libero in fondo in fondo, vicino al viale della stazione”. Risuona quel “veniamo da Guastalla”, come un venire dall’altro capo del mondo, Papuasia, Patagonia, Wisconsin.

Ma dai, cosa vuoi che sia venire da Guastalla! “Ma che bei mercatini, non sapéevo li facèessero anche qui. Credéevo ci fòssero solo a Bolzàno”. Al netto degli accenti fonetici, quasi tutti sbagliati, è un bel riconoscimento per la sorpresa mantovana di piazza Virgiliana.

Tra uno sguardo e l’altro, sopra la sciarpa e sotto gli occhiali, mi viene in mente quella volta in cui per uno scherzo da Primo d’aprile al giornale ci inventammo che nella notte era sparita la statua di Virgilio. Pubblicammo la foto del monumento di piazza Virgiliana senza statua, senza Virgilio.

Dove hanno portato Virgilio? Si radunarono, anche allora, frotte di mantovani in piazza Virgiliana e noi lì a documentare; con taccuino e macchina fotografica la sorpresa e le reazioni al Pesce d’aprile. Frotte di curiosi e frotte di mantovani sgamati ad ogni burla, che avevano già capito che era un pesce d’aprile mantovano.

Virgilio era ancora lì allora come oggi, festa o non festa, a guardare astanti e passanti. A frotte.

 Fabrizio Binacchi