MANTOVA Sta aspettando una telefonata dal mostro di Loch Ness. Detta così potrebbe sembrare una follia. Invece è la particolare esperienza di Daniele Balzanelli, architetto mantovano classe 1967, appassionato velista. È uno dei tre protagonisti della nuova edizione di “The Grand Tour Sailing”, un’avventura velica che prende il nome dal Grand Tour che tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento portava in visita in Italia, e non solo, artisti, letterati e poeti. L’impresa velica, invece, ha inizio e fine nella medesima città, Monfalcone. Lo scorso anno, nella prima edizione, ha previsto la partecipazione a tre regate tra le più frequentate, con la stessa barca: la Bol d’Or sul lago di Ginevra, la Round The Island all’Isola di Wight e la Barcolana di Trieste, affrontando 3219 equipaggi diversi in un solo anno. Iniziativa premiata con un Guinnes Word Record certificato nel maggio scorso.
Balzanelli, come è nata l’idea del Grand Tour?
«L’idea è di Franco Deganutti e Manuel Vlacich. Lo scorso anno io non ero presente perché impegnato in altre regate. Con Franco ho una conoscenza decennale. Quello che ci unisce è la passione per la navigazione, abbiamo fatto diverse regate d’altura ma anche un po’ folli. Per esempio, ci siamo accordati con un altro equipaggio per vedere chi sarebbe arrivato primo da Trieste a Itaca, in Grecia. Seicento miglia senza mai fare scalo. Cosa c’era in palio? Chi avrebbe perso doveva offrire il caffè».
Quest’anno invece è protagonista della seconda edizione. Quali tappe sono previste?
«La prima sul lago di Loch Ness in Scozia l’abbiamo già conclusa. Poi tra settembre e novembre, a seconda delle condizioni climatiche e geopolitiche, affronteremo prima il punto più basso della Terra, il Mar Morto (- 430 metri slm) tra Israele, Giordania e Palestina, e quindi il punto navigabile più alto al mondo, il lago Titicaca (+ 3.812 metri slm) tra il Perù e la Bolivia. La formula è sempre la stessa: tre tappe da affrontare nello stesso anno e con la stessa barca».
Che tipo di barca?
«Sono delle Tiwal. Ognuno di noi ne ha una. Si tratta di imbarcazioni pneumatiche con una struttura in alluminio ad alta performance, con un albero di sei metri che si divide in pezzi da cinquanta centimetri. Tutto è trasportabile in due sacche, facilmente assemblabili ovunque e senza attrezzi in meno di venti minuti. Vengono prodotte in Francia e sono comode soprattutto nei trasferimenti aerei».
Mantova ha una grande tradizione velica?
«Si ma non solo di risultati sportivi, anche di costruttori di barche. Per esempio, Mauro Pelaschier, timoniere di Azzurra negli anni Ottanta, ha vinto un campionato del mondo su Linda 2, un unico esemplare in plastica dell’armatore Palma di Mantova. Oggi lo scafo si trova in un fienile. Se fossimo una città di mare sarebbe stato eletto a simbolo cittadino».
Come si è avvicinato alla vela?
«È una passione che mi hanno tramandato i miei genitori. Già a 7 anni facevo i corsi di vela alla Canottieri Mincio in laser. Sono stato in barca anche con Francesca Pavesi, la nostra tri-campionessa mondiale. Adesso invece sono allo Yachting Club Torri a Torri del Benaco, sul Lago di Garda».
Torniamo al lago di Loch Ness. Che esperienza è stata?
«Il lago fa parte di un canale artificiale che unisce l’est e l’ovest del mare della Scozia per cui le navi mercantili, un tempo, facevano questa scorciatoia. Poi non è stato più utilizzato perché troppo piccolo. Noi lo abbiamo attraversato per il verso lungo fino a raggiungere il luogo dove c’è questo signore che aspetta di incontrare il mostro. Il lago è molto freddo, 6 gradi, l’acqua è scura, si fa fatica a vedere il fondo perché c’è un limo che con l’effetto della pioggia che cade crea delle bolle bianche».
Avete incontrato il mostro?
«No. Però ho perso il cellulare e sto aspettando che mi chiami per restituirmelo».