Al Filarmonico protagonista la musica della seconda metà dell’800

VERONA Venerdì 1° ottobre alle 20 al Filarmonico, Fondazione Arena di Verona riporta gli spettatori in sala per il primo dei concerti sinfonici autunnali dal vivo, con un programma imperdibile interamente dedicato alla musica della seconda metà dell’Ottocento francese, esemplificato in tre linguaggi diversissimi con opere accattivanti eseguite da interpreti di primo piano. Lo è Giuliano Carella, maestro italiano invitato nelle sale più prestigiose del mondo per il teatro musicale ma anche come esecutore del repertorio sinfonico, come in questo raffinato programma alla guida dell’Orchestra della Fondazione Arena. Il primo brano in locandina è la sensuale malia del Prélude a l’après-midi d’un faune di Claude Debussy (1862-1918) riesce ancora oggi a tenere il pubblico col fiato sospeso sin dalle prime battute del flauto solo, in cerca di uno slancio tra volontà e malinconia. L’unico fluido movimento, di dieci minuti circa, esplora e cangia armonie trattando due temi principali con estrema libertà formale, in un arco che si apre e si chiude in impalpabile piano, e offrendo un’originale pittura sonora ai versi di Stephane Mallarmé, cui si ispirò il compositore. Eseguito per la prima volta a Parigi nel 1894 dopo una gestazione di due anni, il Prélude è entrato subito in repertorio, aprendo le porte alle radicali innovazioni del XX secolo. Altrettanto singolare è il Poème op. 25 di Ernest Chausson (1855-1899) per violino e orchestra: una sorta di compatto concerto in un unico movimento commissionato dal celebre virtuoso Eugène Ysaÿe, che ne fu anche primo interprete nel 1896. Il brano, nella tonalità d’impianto di mi bemolle maggiore, ha programmaticamente una natura rapsodica e lascia ampio spazio agli interventi del violino solista: nel corso dei suoi diciassette minuti circa di durata, attraversa i tempi Lento e misterioso, Molto animato, Animato, Poco lento, Poco meno lento, Allegro, Tempo I e Tranquillo in dialogo con oasi orchestrali armonicamente e timbricamente lussureggianti, caratteristiche della (purtroppo contenuta) produzione di Chausson che ne fanno una voce delle più interessanti della fine del Secolo francese, retaggio di una tradizione che sarebbe stata rivoluzionata proprio da Debussy, Ravel e i Ballets russes. L’impegnativo Poème, non troppo popolare nelle sale da concerto (a Verona è apparso soltanto nel 2004 e nel 2011), è tuttavia una composizione prediletta dai maggiori violinisti di ieri e di oggi: la virtuosistica parte concertante è affidata per l’occasione al primo violino dell’Orchestra areniana, l’ungherese Peter Szanto. Georges Bizet (1838-1875) è noto al grande pubblico veronese per il suo ultimo e più riuscito lavoro destinato al palcoscenico: Carmen (che inaugurerà, tra l’altro, il prossimo Festival 2022). Il compositore francese però scrisse molta altra musica, non solo per il teatro, che non viene frequentemente eseguita nonostante il valore intrinseco della stessa. È il caso della Sinfonia n. 1 in do maggiore, scritta nel 1855 dal precoce talento di un Bizet solo diciassettenne e scoperta solo ottant’anni dopo. L’opera, della durata di poco inferiore alla mezz’ora, è tutt’oggi rarissima nei programmi delle istituzioni musicali (al Filarmonico è stata eseguita solo un’altra volta, nel 1979) ma non manca di affascinare il pubblico per l’esuberante invenzione melodica temprata da una compostezza formale classica. Allo scoppiettante Allegro vivo iniziale, che con spirito originale rimanda agli analoghi cimenti di Haydn o Mendelssohn, segue un malinconico Adagio guidato dall’ammaliante melodia dell’oboe; come da tradizione, il terzo movimento è uno Scherzo che evoca danze pastorali mentre il finale è un Allegro vivace ricco di spirito in cui è possibile rintracciare per colore e slancio qualche gemma che fiorirà nella futura, immortale, Carmen.