Intenso lo spettacolo “Una vita all’istante”, scritto e interpretato da Valentina Chiribella

MANTOVA Due guardaroba ai lati, una scala pieghevole al centro, una macchina da scrivere sul proscenio. La scena è essenziale e funzionale: sarà lei, la poetessa Wislawa Szymborska, a muoversi sul palcoscenico, impossessarsi degli oggetti, lottare con essi per affermare il proprio diritto all’esistenza.

“Una vita all’istante”, lo spettacolo che si è tenuto ieri sera allo Spazio Sant’Orsola (ore 17 con replica alle 21) – scritto, diretto e interpretato da Valentina Chiribella –, possiede l’audacia della prima volta e insieme la consapevolezza che il teatro sia un rischio continuo. La sfida di trasformare in un testo drammaturgico le poesie, le interviste, le scritture in genere della poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura nel 1996, era a tutti gli effetti rischiosa. Come dare forma a un materiale così frammentario, polimorfico, obliquo? La scelta di Chiribella si è basata innanzitutto sull’idea di restituire la figura della Szymborska in vecchiaia, appollaiata in cima a una scala fatidica, per poi farla a stento discendere perché se ne potesse rievocare il percorso esistenziale. Eccola dunque giovane, dentro vestiti diversi, ballare e parlare e battere a macchina e discutere; o sdoppiarsi per dialogare con la Morte; fino a cogliere una rosa rossa. Infine, con circolarità ineluttabile, tornare a salire quegli scalini ad uno ad uno, con passo stanco e malcerto.

Davvero intensa la ‘pièce’, altrettanto la prova attoriale; Valentina Chiribella ha saputo riempire dinamicamente lo spazio, con spostamenti guidati da un’illuminazione variata e puntuale, con gesti enfatizzati da musiche suggestive. La sua formazione alla Civica Accademia “Nico Pepe” di Udine, coniugata alla sua passione per la danza, ha certo contribuito alla dominanza del corpo per tutto l’arco della rappresentazione: che si mimasse un passo a due, si eseguisse uno sfrenato ballo moderno, si accennassero movimenti ginnici, oppure si esprimesse la goffaggine, l’improntitudine, l’indecidibilità di una donna che voleva liberare la sua vita dalle convenzioni della vita stessa. L’affabulazione si è tuttavia presa le sue rivincite; con varietà di toni e intonazioni, tra monologhi o dialoghi immaginari, l’espressione verbale è dilagata a fiotti intermittenti, affiorando di continuo dal terreno carsico della memoria. Quasi venisse applicato l’aforisma di Wittgenstein, secondo cui “anche le parole sono azioni”. Applausi convinti.

Claudio Fraccari