Un Festival fedele alla sua missione, regalare una settimana di svago

SANREMO –  L’Italia ferma per Covid non ha rinunciato allo show di Sanremo, anche se gli ascolti sono stati ben lontani da quelli straordinari del 2020. Sul palco dell’Ariston Amadeus e Fiorello si sono confermati intercambiabili nei ruoli. Nessuno come Rosario sa tenere alto il ritmo tra battute e trovate geniali come l’aver ospitato, dal leggendario balconcino del teatro più famoso d’Italia, l’ologramma di Vincenzo Mollica («Sei la principessa Leila di Sanremo») o l’aver inscenato un irresistibile dialogo con le poltrone vuote («Su i braccioli. Giù i braccioli!»). Amadeus aveva esordito con un appello commosso: «Avrò gli applausi registrati, ma voglio immaginare che siano i vostri da casa». Che sicuramente ci saranno stati, ma maliziosamente abbiamo modo di credere che non fossero per le canzoni in gara.
L’emorragia di ascolti e i punti di share volati via è probabile che siano la combinazione di vari fattori: in primis un cast sbilanciato su cantanti poco noti alla platea abitudinaria di Sanremo e più in generale di Rai1, tanto che non si capiva se appartenessero ai “big” o ai “giovani”. E se è vero che “formula che vince non si cambia”, è sembrato un azzardo ricalcare quasi maniacalmente quella dell’anno scorso (Achille Lauro, ad esempio, di cui stentiamo a comprenderne l’utilità come ospite fisso, ci ha regalato performance fini a sé stesse).
Propendiamo tuttavia per l’indulgenza: fare un Festival in tempi di pandemia, senza pubblico e con gli applausi registrati che rimandavano alle sit-com anni ’80 era un’impresa persa in partenza. Aggiungiamoci le strade di Sanremo deserte, l’area attorno al teatro Ariston in zona off limits e le comprensibili proteste di commercianti e ristoratori in piazza Colombo e veniva veramente da domandarsi se non fosse stato il caso di saltare un giro. «Come potevo tirarmi indietro?», ha detto Amadeus. «Se fai un lavoro quotidiano ascoltando quasi mille canzoni dei giovani e oltre 300 dei big, hai preso contatti con artisti, visti e sentiti, ospiti, e sai che dai primi di gennaio ci sono centinaia di tecnici e operai che lavorano al teatro, al palco, alla scenografia…». Risposta che non fa una grinza. Ad Ama e Fiore va riconosciuto lo sforzo creativo che hanno cercato di fare guidando una nave in un mare senza acqua. Ma per reggere cinque ore di diretta il pubblico è un ingrediente fondamentale.
Ecco allora che, forse, questo era l’anno in cui sarebbe stato meglio “togliere” piuttosto che “aggiungere”. Altro appunto: l’operazione “svecchiamento”, attingendo dalle giovani leve che spopolano sul web (peraltro disastrosi nel giovedì dedicato alle cover) piuttosto che affidarsi ai “totem” che hanno fatto grande la kermesse (fatta eccezione per l’impavida Oriettona Berti di blu elettrico vestita) s’è rivelata un flop. Perché ci si può girare intorno finché si vuole, ma a Sanremo l’usato sicuro funziona sempre. Se Leali, la Cinquetti e Marcella Bella, scatenatisi con i loro cavalli di battaglia durante la seconda serata, fossero stati in gara, il podio sarebbe stato affare loro. Apprezzabili anche alcune scelte, come l’aver ospitato Alex Schwazer, il marciatore squalificato ingiustamente per doping, ma riabilitato dalla recente sentenza del tribunale di Bolzano. Ogni tanto difendere i nostri portacolori sarebbe cosa buona e giusta. Ma il binomio sport-spettacolo è stato uno dei punti fermi della 71esima edizione. Se a portare lo spirito olimpico all’Ariston e nelle case degli italiani ci hanno pensato Alberto Tomba e Federica Pellegrini, Zlatan Ibrahimovic, voluto da Amadeus non senza polemiche, si è giorno dopo giorno preso la scena. Ogni sera è avvenuto qualcosa che lo ha riportato sotto i riflettori: dall’arrivo, giovedì sera, a Sanremo dopo aver fermando un passante in moto chiedendogli un passaggio al duetto con l’amico Mihajlovic sulle note di “Io vagabondo”. Insomma, al di là delle critiche di routine, il Festival è rimasto fedele alla sua missione storica: regalarci una settimana di svago, con i cantanti al posto dei virologi. Dimenticavamo: quest’anno niente pagellone. Meglio un “6 politico” per tutti. Che tanto di sufficienze se e sarebbero viste poche.

Matteo Vincenzi