Anche lei è dovuta scendere a patti con il Coronavirus. La Statua della Libertà, simbolo di New York e di tutti gli Stati Uniti, è stata chiusa al pubblico il 16 marzo scorso a causa della pandemia. Stesso provvedimento per il museo di Ellis Island, luogo della memoria di milioni di immigrati. Dopo quasi cento giorni, il 20 luglio, la parziale riapertura con misure straordinarie: impossibile visitare l’interno della statua e salire sulla corona, così come è rimasto chiuso il museo che ne racconta la storia.
La genesi della costruzione della cosiddetta “Libertà che illumina il mondo” risale alla Guerra di secessione americana. Si narra infatti che a ispirare l’edificazione del monumento sia stata una frase del filosofo parigino Edouard René de Laboulaye che sosteneva fosse necessario commemora il centenario dell’indipendenza americana.
A raccogliere la proposta è stato l’architetto Frédéric Auguste Bartholdi, supportato nell’impresa dall’ingegnere Gustave Eiffel, autore dell’omonima torre parigina. È il 1884 quando i due si mettono al lavoro. Mentre il primo si occupa degli esterni e della progettazione in generale, il secondo cura l’interno dove realizza una struttura di tipo reticolare in metallo, funzionale per le operazioni di smontaggio e trasporto negli Stati Uniti. La scelta del rivestimento esterno con fogli di rame battuto, con la tecnica a balzo per alleggerirne il peso, è invece presa d’accordo con la fonderia francese Gaget, Gauthier & Co. Per il basamento sul quale poggia la struttura, infine, si è optato per un granitico di colore grigio-rosa proveniente dalla cava di Stony Creecy, nel Connecticut, risultato della mobilitazione dei cittadini americani grazie a una sottoscrizione pubblica promossa raccolta dal New York Times per raccogliere i fondi necessari: oltre un milione di dollari.
Il monumento raffigura una donna con indosso una toga, nella mano destra una fiaccola, simbolo del fuoco eterno della libertà, nella sinistra una tavola sulla quale si legge la data del giorno dell’indipendenza americana: 4 luglio 1776. Ai suoi piedi delle catene spezzate, simbolo di liberazione, sulla testa una corona con sette punte a simboleggiare i sette mari e i sette continenti. Una volta completata l’opera, la statua è stata smontata e trasportata in 1.883 casse a bordo di una nave. Nel giro di poco più di due anni, gli statunitensi hanno così potuto inaugurare “Lady Liberty”, il 28 ottobre di cento trentaquattro anni fa. Sul piedistallo un sonetto intitolato “The New Colossus” della poetessa americana Emma Larus: “Tenetevi, o antiche terre, la vostra vana pompa – grida essa [la statua] con le silenti labbra – Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata”. La Statua della Libertà, che come “colossus” misura 99 metri di altezza ed è visibile fino a 40 chilometri di distanza, accoglie chi arriva a New York passando per la baia di Manhattan, diventando un simbolo per tutti gli immigrati giunti in America.
Un’altra “Statua della Libertà” è sorta a Beirut, fatta con i detriti dell’esplosione che ha devastato il porto della città lo scorso 4 agosto. Un omaggio ai 220 morti. Costruita nei pressi del luogo della catastrofe, è stata edifica con vetri rotti, macerie, calcinacci e detriti, impossibili da smaltire, risultato dell’esplosione di quasi 3.000 tonnellate di ammonio. L’opera, realizzata dall’artista libanese Hayat Nazer, rappresenta una figura femminile che brandisce una spada, ai piedi un grande orologio che segna le ore 18:06, l’ora della tragedia. Un’altra fonte di ispirazione per l’artista è stata la “Libertà che guida il popolo”, il quadro di Eugène Delacroix, dipinto nel 1830 ed esposto al Louvre di Parigi, di cui ricorda la colossale figura di donna al centro della scena. A Beirut, però, al posto dei cadaveri della Rivoluzione francese ci sono idealmente sia le vittime dell’esplosione sia quelle causate dalla pandemia da Covid-19.
Tiziana Pikler