PIACENZA Il nuovo allestimento del Giulio Cesare di Händel, con la regia di Chiara Muti e Ottavio Dantone alla direzione di Accademia Bizantina, va in scena nell’ambito della Stagione d’Opera 2024/2025 del Teatro Municipale di Piacenza, venerdì 31 gennaio alle 20 (replica domenica 2 febbraio alle 15.30). L’opera è realizzata in coproduzione tra Teatro Alighieri di Ravenna e i Teatri di Modena, Piacenza, Reggio Emilia, Lucca e Bolzano. In uno spazio metafisico, le cui tinte ricordano l’oro delle sabbie e dei metalli preziosi d’Egitto e degli enigmatici volti delle maschere dei faraoni, il ruolo di Giulio Cesare è affidato a Raffaele Pe, mentre Cleopatra è Marie Lys. Delphine Galou veste i panni della moglie di Pompeo, Cornelia, mentre Tolomeo, fratello e rivale di Cleopatra per il trono d’Egitto, è Filippo Mineccia. Completano il cast Davide Giangregorio come Achilla, Federico Fiorio come Sesto, Andrea Gavagnin come Nireno e Clemente Antonio Daliotti come Curio. Firma le scene Alessandro Camera, mentre Tommaso Lagattolla cura i costumi e Vincent Longuemare le luci.
“Il Giulio Cesare è un’opera che tutti dovrebbero conoscere, perché rappresenta la perfetta simbiosi tra storia e mito e la massima armonia tra musica e teatro – dichiara Ottavio Dantone, che guiderà Accademia Bizantina al clavicembalo – Il capolavoro di Händel affascina per la particolare varietà di timbri e colori: arpa, tiorba, viola da gamba, oboi, flauto e corno impreziosiscono l’orchestra, accompagnando i molteplici caratteri dei personaggi. Il contenuto musicale ricco di suggestioni e di straordinaria potenza evocativa ci trasporta e colloca direttamente dentro la vicenda come se la vivessimo personalmente”.
Dopo Il Farnace e Il Tamerlano delle scorse stagioni, continua così al Teatro Municipale la proposta di titoli del repertorio melodrammatico del Seicento e primo Settecento, meno frequentato di quello dei secoli successivi.
Il Cesare barocco è “un simbolo di marmorea giustizia e temperanza – sottolinea la regista Chiara Muti – Non ha nulla di ambivalente e si disumanizza per glorificare, nell’apoteosi di Roma, le virtù dell’illuminato monarca,” vale a dire Giorgio I e la nuova dinastia regnante degli Hannover, a cui il compositore intendeva rendere omaggio con l’opera presentata proprio al King’s Theatre di Londra nel 1724. “Grazie all’intensità delle linee vocali e al dinamismo cromatico orchestrale – continua la regista – Händel riscatta la staticità dell’azione e arricchisce di senso i caratteri. Scavando nella materia umana e svelandone la complessità di contrasti, ci offre momenti di tale tensione emotiva da farci dire che raggiunse, con la musica, le vette che Shakespeare toccò con la parola. La regia, avvalorata dalla melodia, si piega dunque alla dimensione simbolico evocativa”.
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