Rsa, l’emergenza Covid è tutt’altro che finita

MANTOVA L’emergenza covid per le case di riposo, i loro ospiti e gli operatori è tutt’altro che finita. Anzi. Dopo i terribili effetti lasciati dal virus, con centinaia di morti e più di mille infettati (sia fra gli ospiti che fra gli operatori) oggi le 55 strutture della provincia di Mantova si ritrovano con 972 posti vuoti, su 4080 totali, e con i nuovi ingressi che stanno procedendo con il contagocce a causa delle complicate procedure previste dalla nuova delibera regionale.

In questo modo le case di riposo e le rsa possono contare su meno introiti provenienti dalle rette degli ospiti, senza considerare il problema dell’aumento dei costi dovuti all’acquisto dei Dispositivi di Protezione Individuale e per il rispetto di tutte le procedure e i protocolli anti covid. “Questa situazione sta creando un grave problema di tipo occupazionale – spiega Magda Tomasini di Fp Cgil Mantova – e a oggi abbiamo, in provincia di Mantova, 750 operatori in Fis (Fondo Integrativo Salariale) su 2900 che operano nelle 55 strutture del territorio mantovano. Il dato è aggiornato a venerdì scorso, ma la situazione è in continua evoluzione peggiorativa, nel senso che aumentano le persone in Fis”. Nei mesi dell’emergenza sono stati molti gli ospiti delle Rsa deceduti, gli ingressi sono stati bloccati e solo da poco una delibera della regione ne ha previsto la riapertura. Ma la procedura, come si diceva, è piuttosto complessa e lunga perché prevede che l’ospite da introdurre segua un preciso percorso con test sierologico, percorso di isolamento fiduciario di 14 giorni, tampone e ingresso. Questo percorso può essere a carico dell’ente gestore della rsa oppure del medico di medicina generale. Ma l’ente gestore, avendo perplessità che l’ospite, avendo necessità di entrare in struttura, possa eseguire un isolamento fiduciario corretto, lo ri-sottopone all’iter con altri 14 giorni di isolamento, stavolta in struttura dove viene trattato in isolamento con tutte le precauzioni del caso, Se poi, al termine del percorso, risulta negativo al tampone allora l’ingresso viene completato e l’ospite trattato in regime ordinario, come gli altri ospiti. In sostanza, serve un mesetto per fare un ingresso. Il percorso è ancora in progress ed è attivo un tavolo di confronto fra Ats, Asst e enti gestori delle strutture per cercare di gestire le criticità e risolverle. Inoltre, visto le conseguenze del Covid sugli anziani, bisogna vedere se ci sono ancora le stesse persone nelle liste di attesa e capire come si sono modificate. “Confidiamo – dice ancora Tomasini – nella nuova delibera di Regione Lombardia che dovrebbe avvenire i primi giorni di agosto; è necessario un aiuto concreto e un percorso più snello”.

Oltre agli ingressi al rallentatore, si diceva del problema dei costi che sono lievitati e della chiusura di attività come centri diurni, che garantivano una quota di introiti agli enti gestori delle rsa. “Un grande problema – sottolinea Tomasini – è il carico dei costi perché tutto il percorso è sulle spalle dell’ente gestore che ha speso già molti soldi per i dpi e si ritrova con molti posti letto vuoti da 4 mesi e servizi integrati esterni, come centri diurni, chiusi dal 23 febbraio. Ad oggi la Regione non ha contribuito a sostenere le spese e i mancati introiti delle varie rsa e nessuna risposta è ancora arrivata, sempre dalla Regione, in merito alla proposta di pagare i posti vuoti come pieni. Alcune strutture, per fare un esempio, stanno facendo i conti con mancati introiti mensili per oltre 90mila euro”.

Al momento, quindi, 750 operatori si trovano in Fis e parecchi si trovano in situazioni di difficoltà economica poiché non tutti gli enti sono disposti ad anticipare il Fis e, in ogni caso, la retribuzione è ridotta fino al 65% dello stipendio normale. “Alcuni enti gestori – spiega ancora Tomasini – non volevano garantire le ferie estive e utilizzare il Fis in sostituzione proprio delle ferie. Una modalità giudicata da noi grave e inaccettabile”.

C’è, poi, anche il problema della fuga degli infermieri dalle case di riposo verso il pubblico, dove le condizioni contrattuali e i trattamenti economici sono migliori: “Un problema che c’era già in era pre covid – precisa Tomasini – ma che è diventato ancora più pesante con l’emergenza sanitaria”.