Delitto Giaron, sul coltello il Dna dell’imputata e della suocera

MANTOVA Significative tracce biologiche riconducibili ai profili genetici dell’imputata e della propria suocera. È quanto appurato dal consulente tecnico incaricato dalla Corte d’Assise d’Appello di Brescia per quanto concerne l’analisi scientifica del coltello da cucina, presunta arma del delitto di via Mozart. Emergono, dunque, nuovi particolari dettagli circa la vicenda processuale, approdata ora al secondo grado di giudizio, che vede alla sbarra Elena Scaini, la 56enne di Mantova accusata di aver colpito a morte il marito Stefano Giaron, 51 anni, ucciso a colpi di lama il 6 ottobre 2020 nell’appartamento che la coppia condivideva con l’anziana madre della vittima. Secondo quanto addotto agli atti, nel corso dell’ultima seduta dibattimentale, sarebbero infatti stati periziati dal Ctu evidenti rinvenimenti di materiale ematico, su impugnatura e lama, afferenti il patrimonio genetico sia della stessa presunta assassina che dell’ottantenne Lina Graziati, a sua volta ritrovata dai soccorritori tre giorni dopo l’omicidio del figlio, all’interno di quella stessa abitazione, con numerose ferite nonché ancora in stato confusionale. Circostanza quest’ultima, costata a Elena Scaini all’atto del suo rinvio a giudizio una seconda contestazione – oltre a quella principale da 21 anni di carcere per omicidio volontario aggravato dal rapporto di coniugio ma non premeditato – relativa proprio alle lesioni perpetrate ai danni della suocera, ma dalla quale poi era stata mandata assolta in primo grado per non aver commesso il fatto, stante la ritenuta mancanza di prove. Ventaglio probatorio che, proprio alla luce di questi ultimi riscontri, potrebbe però ora vedersi ampliato prettamente in capo all’imputazione delle ferite inferte alla pensionata. Sul coltello infatti sarebbero state isolate consistenti tracce di Dna afferenti le due donne e solo in minima e residuale parte alla vittima. Questo a fronte, come dedotto all’esito dell’incombente peritale, del legame di sangue diretto esistente tra madre e figlio con identiche parti dello stesso corredo genetico tra i due. Questa risultanza potrebbe sparigliare le carte processuali: il coltellaccio, ritrovato e sequestrato un anno dopo, dai carabinieri di Zocca sul furgone a bordo del quale la Scaini era fuggita dopo il delitto, potrebbe essere quindi stato usato dalla 56enne solo per colpire la pensionata ma non per ammazzare il coniuge. Ipotesi, sulla quale la stessa accusata verrà nuovamente audita nel corso della prossima udienza.