Frammenti di un tempo gentile: Insegne impolverate che resistono

MANTOVA – La paura non solo cambia le abitudini delle persone ma innesca l’inevitabile sentimento di nostalgia per i bei tempi andati e per una città che si è vista depredata anche di quelle certezze che sembravano inscalfibili. L’isola serena e tranquilla non c’è più. E il risveglio, quando vengono meno le convinzioni e cresce il timore anche per un semplice spostamento, sa essere molto brusco. I continui episodi di microcriminalità, culminati con l’arresto di un tunisino che aveva seminato il panico nel centro storico con un coltello, hanno mutato la percezione di sicurezza tra residenti e commercianti, che hanno creato anche una chat per avvertire di pericoli e situazioni sospette. Percorrendo quello che un tempo era il salotto buono della città, sale nuovamente la nostalgia di un passato nemmeno troppo lontano racchiuso nei vecchi arredi e nelle insegne vintage che ancora resistono. Oggi, in mezzo a loghi creati in serie, tra brand per la maggior parte conformi ad un’idea e un concept globale comune, quelle insegne impolverate raccontano di una Mantova fiera della propria unicità. Scovare le insegne di un tempo è come aprire un vecchio libro e leggere l’indice dei vari capitoli. Sono l’introduzione ad una narrazione diversa, un altro modo di abitare la città. Le insegne antiche sono tesori visivi che ci trasportano indietro nel tempo, raccontando storie di commercianti, mestieri e culture del passato. Scorgere quella dell’Expo Disc ci ha riportato a quei sabati di tanti anni fa quando prendevamo la corriera dal paesello per raggiunge la “city” e far man bassa di vinili. Questi elementi di design per attività commerciali, spesso elaborati e ben decorati, erano essenziali per guidare le persone nelle intricate nelle viuzze della città, annunciare le attività commerciali e trasmettere l’identità dei negozi. In quel periodo Mantova era veramente una bomboniera e il centro era un via vai continuo di persone che il giorno di festa si mettevano il vestito buono per prendere un caffè e ammirare le sfarzose vetrine curate in ogni minimo dettaglio da titolari e commesse. Camminando sotto i portici ci imbattiamo in arredi che hanno caratterizzato gli anni floridi del commercio cittadino. L’elegante ingresso ligneo della boutique Chiara ne è un esempio, così come quello dell’ex libreria Di Pellegrini. E quando passiamo da via Calvi fa una certa impressione osservare le vetrine vuota del New America, uno dei tempi degli apprendisti paninari che negli anni ’80 e ’90 bazzicavano per il centro. Tracce degli anni floridi per il commercio, vitali per una città che ha sempre puntato sulla valorizzazione delle proprie specificità. Dei negozi e delle boutique a conduzione familiare, che affondavano le loro radici nella tradizione virgiliana, è rimasto ben poco. Gran parte dei nomi storici hanno lasciato da tempo i raffinati portici di quello che era il salotto buono della città. E per i commercianti che resistono (perché non dare a loro il Virgilio d’oro?), costretti a confrontarsi con una realtà attuale sempre più difficile e insicura, il ricordo ha un sapore amaro.

Matteo Vincenzi