MANTOVA – E’ una bella giornata di sole e come ogni giovedì ci si riversa in piazza per andare al mercato. Ma a Mantova il mercato ha cambiato location: non è più in centro bensì a Palazzo Té. Ci accolgono le due aquile dell’accesso di viale Isonzo che, dall’alto delle loro colonne dove se ne stanno indisturbate da svariati decenni, guardano la gente sfilare per andare a fare qualche compera liberatoria in questo intertempo che sa molto di lockdown anche se a tutti gli effetti nessuno è autorizzato a chiamarlo così. I banchi partono dal piazzale antistante il palazzo, tra il parco e l’entrata dello Spazio Té, e si allungano quasi fino al parcheggio di Porta Cerese. Per ogni varco attraverso cui si accede al mercato, vi sono due corsie separate, una per l’entrata e una per l’uscita, controllate da agenti della Polizia Locale e da addetti della sorveglianza comunale. “Non si può andare in bicicletta” mi ammonisce un vigile; e, anche se lo spazio tra i banchi è molto più largo rispetto al centro città, scendo dalla bici e la spingo a mano. Indubbiamente c’è gente ma lo spazio è davvero notevole, e sembra quasi che il mercato sia molto più grande di prima per cui le persone un po’ si perdono. Assembramenti non se ne vedono, file tra i banche nemmeno. Unico appunto, a voler essere fiscali, un capannello di signore indaffarate a cercare l’affarone del giorno tra i cestoni del “Tutto a un Euro”. Le voci che si sentono camminando tra i passanti sono più o meno tutte dello stesso segno: lamente e malcontento generale espressi tra un’offerta a prezzo ridotto e un’ultima richiesta di sconto. «Anche quello là – sento dire al titolare di un banchetto di frutta – doveva prendere la cassa integrazione a maggio, ed è ancora lì che aspetta, poveretto!» Più oltre, una signora in età si lamenta delle continue tasse e bollette che le arrivano a casa, «per non parlare poi del rischio che noi anziani abbiamo – continua la signora tra il deluso e l’amareggiato – di non poter accedere all’ospedale nel caso di bisogno, perché occupato dai malati Covid». Nel frattempo, però, si respira in molti anche la voglia di fare finta che sia tutto una montatura, che le mascherine siano necessarie sì, ma presto potremo anche fare senza, cedendo ad una tendenza negazionista che si vorrebbe sposare per non lasciarsi prima abbattere dalla frustrazione o ancor più dalla disperazione. «In fondo, dobbiamo essere sinceri, quante malattie abbiamo passato noi, ai nostri anni, che poi sono state debellate dai farmaci e dalle cure mediche? – si chiede quello che immagino essere il padre del titolare di un banchetto che vende fiori. – Io, per esempio, sono del ‘41: ai miei tempi si moriva ancora di tubercolosi e c’era ancora la poliomielite che provocava infermità permanenti. Passerà anche questo virus, coraggio, cosa sarà mai!» E subito gli fa eco un altro signore, anch’egli con la bici a mano, che si affretta a ribadire che «si tratterà di tener duro per un mesetto e finalmente riusciremo a trascorrere un Natale come si deve.» Sembrano convinti, vogliono esserlo, tutto sommato. Il mercato, con il suo vociare festoso e animato, con i suoi colori e i suoi profumi, complice la bella giornata di sole, aiuta senz’altro a creare una bolla in cui si vuole mettere a tacere le ansie e i timori che aleggiano nell’aria. Ci sono anche i gerenti dei chioschi del parco Te e dei bar vicino a Porta Cerese che beneficiano di questa nuova location del mercato rionale. «Dopo i provvedimenti ostativi dell’ultimo DPCM, che ci obbligano a chiudere alle sei, almeno il mercato del giovedì ci porta un po’ più di gente. Unico rammarico, peccato che sia solo una volta alla settimana e non tutti i giorni» chiosa Marco, mentre tra un caffè e un altro, rimprovera alcuni clienti che sbadatamente si sono seduti in sei allo sesso tavolino.