MANTOVA – Sei procedimenti, istruiti tutti innanzi al medesimo giudice monocratico, e terminati con altrettante sentenze di non luogo a procedere a fronte dell’irreperibilità degli imputati. È quanto occorso ieri mattina in tribunale a Mantova per effetto della cosiddetta legge Cartabia che stabilisce non si possa procedere se l’imputato non sa di essere sotto processo. Con tale riforma, infatti, che porta il nome dell’ex ministro della giustizia Marta Cartabia ed entrata in vigore proprio ieri anche per quanto concerne il processo civile, “il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato” e i termini di prescrizione non vengono congelati come avveniva prima dell’entrata in vigore della riforma. Procedimenti che potranno quindi riprendere – sempre che nel frattempo non sia intervenuta prescrizione – solo nel caso gli imputati vengano rintracciati ed informati del procedimento instaurato a loro carico. A fronte di tale nuova norma quindi, il giudice di via Poma, Gilberto Casari, si è visto costretto a chiudere due processi instaurati a suo tempo per reati tributari, uno per spaccio di sostanze stupefacenti, uno per sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro, uno per interruzione privata di un ufficio o servizio pubblico e infine, uno per lesioni. Giudizi, inerenti fatti risalenti anche al 2008 – in un caso di specie – e avviati in sede dibattimentale nonostante l’assenza degli imputati per irreperibilità, finiti ora tutti “congelati”. Dopo il tramonto della contumacia la riforma Cartabia si è quindi puntato a cancellare anche la sospensione del processo nei confronti dell’imputato irreperibile e a rendere al contempo più effettive le garanzie per la difesa e più celere la definizione dei procedimenti. Certa deve essere infatti la conoscenza della pendenza del giudizio, certi i tempi della sua conclusione se l’imputato è irreperibile.