Ndrangheta: per la Riseria Roncaia rinviati in procura gli atti del processo Grimilde

MANTOVA «Ribadita l’esistenza e l’operatività di un sodalizio di matrice ‘ndranghetista nel territorio emiliano e non solo, con conferma per tutti gli imputati, cui era contestato, del delitto di associazione mafiosa». Queste le parole pronunciate a caldo dal procuratore generale della Corte d’Appello di Bologna Lucia Musti all’esito della lettura del dispositivo circa il processo di secondo grado con rito abbreviato sviluppatosi dall’inchiesta “Grimilde” e conclusosi ieri pomeriggio nell’aula bunker del carcere della Dozza. Un verdetto, quello emesso dai giudici della quinta sezione penale felsinea nei confronti dei 40 imputati ricorrenti (avverso le sentenze di primo grado emesse il 26 ottobre 2020 dal gup di Reggio Emilia) non avaro comunque di sorprese e colpi di scena.
Nello specifico infatti, come altresì argomentato dallo stesso Pg, «a fronte di alcune riduzioni di pena nonché assoluzioni per posizioni minori, anche in relazione alla esclusione dell’aggravante mafiosa che ha comportato la dichiarazione di prescrizione dei reati, è stato oltremodo riconosciuto un complesso reato di truffa con ingente danno nei confronti dello Stato, il cosiddetto affare “Oppido”, corale espressione della consorteria mafiosa, mentre in riferimento all’affare “Riso Roncaia”, in ordine al quale si registrano assoluzioni, le stesse appaiono il frutto di una diversa lettura della Corte con riguardo alle persone offese per le quali – dalla lettura del dispositivo – parrebbe ipotizzarsi una partecipazione alla associazione mafiosa. La procura generale attende rispettosamente la motivazione della Corte e prenderà atto delle future determinazioni della Direzione Distrettuale Antimafia». In sostanza i giudici avrebbero disposto la contestuale trasmissione degli atti alla Procura in merito alle posizioni di alcuni soggetti, in relazione al reato di associazione mafiosa, tra cui, oltre ad esempio all’imputata Rosita Grande Aracri, (figlia di Francesco, la cui pena è stata rideterminata in due anni), per quanto concerne la sola vicenda afferente la truffa e l’estorsione perpetrata ai danni della riseria di Castelbelforte tra il 2015 e 2016, anche per Claudio e Riccardo Roncaia e Massimo Scotti, fino ad ora solo parti offese in questo specifico filone giudiziario. Proprio in merito a questo caso di specie lo scorso maggio in fase di discussione, il difensore di Claudio Bologna, (condannato in primo grado a 11 anni, 8 mesi e 20 giorni), aveva chiesto di non riconoscere a carico del proprio assistito l’aggravante dell’associazione a delinquere per mancanza di presupposti soggettivi – pur confermando in toto l’impianto accusatorio ex articoli 640 e 629 codice penale – mentre il Pm della Dda bolognese Beatrice Ronchi, a sostegno della pubblica accusa unitamente al Pg Musti, ha di contro ribattuto avanzando il rigetto dell’impugnata sentenza. A suo carico la Corte ha quindi ricalcolato la pena finale in 8 anni di reclusione. Tra gli altri chiamati a rispondere dell’aggravante associativa ex articolo 416 bis del codice penale la condanna per Salvatore Grande Aracri, un altro dei figli del boss Francesco a processo invece con rito ordinario, la condanna è passata da 20 anni a 14 anni e 4 mesi, mentre a carico di Giuseppe Caruso, ex presidente del consiglio comunale di Piacenza è stata disposta una diminuzione della pena comminatagli in primo grado da venti anni a otto anni e due mesi per alcune fattispecie di reato e di quattro anni circa un’altra imputazione. Per Albino Caruso invece, fratello dell’ex amministratore pubblico (12 anni e 10 mesi in primo grado) la pena è stata rideterminata in 6 anni, 10 mesi e 20 giorni. Per quanto attiene invece le posizioni dei tre imputati mantovani che hanno presentato ricorso, rigettata nonché dichiarata inammissibile in alcuni punti l’istanza nei confronti di Manuel Conte, 30enne di Viadana, a cui quindi sono stati confermati i 4 anni e 1 mese da lui rimediati in primo grado; anche per Davide Gaspari, 44 anni, confermata la condanna di primo grado a 2 anni mentre per Pietro Passafaro, 58 anni anch’egli di Viadana (3 anni e 4 mesi a Reggio), disposto il non doversi procedere, esclusa l’aggravante contestata, per intervenuta prescrizione dei reati a lui ascritti. Tra i soggetti mandati assolti infine anche il boss Nicolino Grande Aracri imputato in questo processo con una posizione secondaria.