Papa Benedetto XVI nel ricordo di mons. Busca e mons. Pecorari

MANTOVA Si sono svolti ieri nello Stato della Città del Vaticano i funerali del Papa emerito Benedetto decimosesto. Mantova cólta dedica questa pagina alla memoria del Sommo Pontefice riportando le interviste al nostro vescovo mons. Marco Busca e al nunzio apostolico Anselmo Guido Pecorari rilasciate nei giorni scorsi. Il vescovo Marco ha ricordato il Papa emerito partendo dalla definizione che egli diede durante l’annuncio dell’elezione in piazza San Pietro: «in questi giorni ripensavo alla definizione di “umile lavoratore nella vigna del Signore”: bella cifra sintetica del suo profilo di uomo, dote dell’umiltà e dell’operosità tipicamente benedettina, sua sigla continua di lavoro teologico (non per niente è ricordato come “Papa teologo”). Fondamentale la sua vocazione a coniugare fede e ragione, che ha espresso nel suo testamento spirituale dell’agosto 2006. Questo mi aveva profondamente colpito: lui, pontefice, dopo aver ringraziato genitori e compatrioti, ha approfondito il concetto del rimanere saldi nella fede, di non lasciarsi confondere, perché nel groviglio delle ipotesi la ragionevolezza della fede permane e emerge. Ho avuto modo, da studente, di leggere suoi testi di introduzione al Cristianesimo, i testi di escatologia, gli studi su Sant’Agostino… si rivela il profilo alto da intellettuale, che torna nella predicazione da vescovo e da Papa. Un altro aspetto meritevole è che Benedetto XVI è il primo Papa emerito della modernità: la compresenza di due Papi è una sfida notevole, che illustra il livello di fede e di spiritualità, e lo spessore delle due figure che si sono accolte e rispettate reciprocamente. Francesco aveva detto a Benedetto: “lei faccia la sua vita”, e infatti ci sono una decina di scritti di Ratzinger in questo decennio. Da parte di entrambi è evidente lo sforzo a non prestare il fianco alle scuderie che avrebbero voluto avvalersi di un pontefice per screditare l’altro. Una sapiente alleanza, in un epoca non facile, si sono aiutati ad allentare le tensioni. Penso anche al fatto che la prima enciclica fu scritta a quattro mani, e che ai concistori pubblici sempre vi è stata la visita a papa Benedetto».
Da parte sua mons. Anselmo Guido Pecorari, nunzio apostolico anche durante il pontificato Ratzinger, ha vividi ricordi del Santo Padre: «in qualità di nunzio apostolico – afferma mons. Pecorari – ho rappresentato papa Benedetto XVI come vescovo e ambasciatore per tre anni in Rwanda, e cinque in Uruguay, ma lo conoscevo già prima perché ho fatto servizio per 15 anni presso la Segreteria di Stato, nella Sezione Dottrinale e proprio Ratzinger era il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e con lui ho trattato diverse questioni. Negli anni che ho trascorso in Vaticano lo ricordo come molto preciso, profondo. Di solito un cardinale o un capo di Dicastero lascia il “foglio di udienza” con gli argomenti dei quali vuole parlare col Papa, e poi il Santo Padre lascia sue risposte. Io l’ho conosciuto in questa luce come il bastone teologico del Santo Padre (a quel tempo Giovanni Paolo II), che si è confrontato sempre, per quanto so io, con Ratzinger, allora cardinale, il quale mai ha diretto la Congregazione per la Dottrina della Fede senza coinvolgere o informare delle sue prese di posizione il Santo Padre stesso. Era un binomio. Avevano un’impostazione culturale molto diversa, ma si integravano a vicenda. Il loro era un rapporto basato sulla fiducia reciproca. Come Nunzio Apostolico, quando ho svolto il mio servizio in Rwanda la mia posizione era delicata in quanto si doveva trattare del genocidio (tra la primavera e l’estate del 1994 il Rwanda venne devastato da un feroce scontro su base etnica che portò alla morte di un numero di persone calcolato tra le 500.000 e oltre 1.000.000, e alla fuga di almeno altrettanti profughi, n.d.r.). Per questo ogni passo importante era concordato direttamente con il Papa, che era molto attento e preciso. La mia era una posizione difficile, in quanto ero il collegamento tra il Papa e il presidente del Rwanda, Paul Kagame, che ha fermato il genocidio e governa democraticamente. È stato difficile, a un certo punto un equivoco ha creato quasi una rottura dei rapporti diplomatici. Tra l’altro la Francia impedì l’intervento dell’ONU, affermando che si trattava di una guerra civile. Ma Giovanni Paolo II ha parlato di genocidio, sempre. Il termine “guerra civile” offendeva e metteva in discussione ogni rapporto. Il Papa inviò su mia richiesta una lettera personale al presidente Kagame, proprio il 7 aprile, anniversario del genocidio». L’esperienza di mons. Pecorari quale nunzio apostolico in Rwanda si è conclusa nel 2008 (quindi si è sviluppata a cavaliere tra i pontificati di Wojityla e di Ratzinger), proseguendo in Uruguay. «In Uruguay – conclude Pecorari – non avevamo questi problemi. Lo Stato è laico e laicista, per legge, fin dall’inizio del Novecento. Ogni intervento che si faceva da parte della nunziatura andava ben calibrato col Santo Padre».