Tutti allertati: che Corneliani non faccia la fine di Gucci

MANTOVA – Un’ora ai cancelli ieri mattina per spiegare ai lavoratori della Corneliani cosa significava il risultato del tavolo del Mise di martedì con il quale si è accolta la proposta di Investcorp di stanziare 7 milioni: condizione, questa, vincolante all’ingresso di Invitalia nella compagine societaria al 49% con un capitale di 10 milioni. Il tutto dietro presentazione di un piano industriale, che verrà esaminato ancora al Mise il prossimo 13 aprile.
Non ha mancato di suscitare tensioni tuttavia la considerazione relata dal segretario Filctem  Michele Orezzi, affiancato al sindaco  Mattia Palazzi, che questa operazione non è possibile definirla “salvataggio”, dal momento che lo stesso fondo arabo, per voce dell’amministratore delegato  Giorgio Brandazza, ha posto sul tavolo del ministro  Giorgetti un piano diridimensionamento del personale nella misura sanguinosa di 150 teste. «Guardatevi – ha detto Orezzi ai lavoratori in presidio ai cancelli di via Panizza –: di voi una su tre rimarrà a casa se passa questo piano».
La ferma volontà del sindacato e delle istituzioni invero è che quel piano non passi e venga rivisto al Mise stesso, che Orezzi pretende come sede di ogni futura discussione. Insomma, se si è scongiurata la liquidazione, e se si «intravede la vetta» della montagna, c’è ancora da lavorare. Specie perché al tavolo del Mise non è stata valutata la seconda proposta, fatta dalla famiglia  Corneliani, che ipotizzava salvataggi senza sacrificio di posti.
Soprattutto, pesa lo spettro di una politica di investimenti che presenta il “caso Corneliani” come un inquietante déja-vu di quanto visto nel settembre 1993, quando il fondo arabo mise le mani su Gucci. Ne circola ancora fra i dipendenti Corneliani il percorso attraverso le pagine finanziarie dell’Unità di allora, con il non troppo malcelato timore che la storia si ripeta: un marchio storico del made in Italy acquisito e finalmente delocalizzato all’estero.