Antonella Ruggiero: “Ai giovani dico: per emergere servono lavoro e passione, non le scorciatoie”

CERESE A ragione è considerata una delle più virtuose e raffinate interpreti della canzone d’autore italiana. Ma  Antonella Ruggiero, celebre anche per gli anni trascorsi con i Matia Bazar, ha dimostrato quanto la ricerca e la sperimentazione valgano ben più dei riflettori. Voce fra le più intense e sofisticate del nostro panorama musicale, grazie alla quale è in grado di arrampicarsi su per vertiginose scale musicali, la cantante ligure ha “incantato” il pubblico mantovano presente sabato scorso alla Notte delle Stelle interpretando alcuni brani del suo vasto repertorio e gli omaggi a Fabrizio De Andrè e alla PFM. Una performance senza tempo che come il canto delle sirene ha ipnotizzato i mille spettatori di piazza Aldo Moro a Cerese.
Gli anni trascorsi con i Matia Bazar sono stati un trampolino importante per la sua carriera da solista. Le manca qualcosa di quel periodo?
«È stato un percorso professionale meraviglioso, ma che ritenevo ormai esaurito. Di quegli anni ricordo anche i viaggi in giro per il mondo, tra i quali luoghi che oggi non ci sono più o che sono cambiati profondamente come l’Unione Sovietica, la Giordania e le aree della Siria martoriate dalla guerra. Oppure Paesi come il Cile, dove all’epoca vigeva il coprifuoco».
Seguirono sette anni di assenza dalle scene e i vari viaggi in India, esperienza esistenziale e spirituale, ma anche musicale, talmente incisiva su tutti questi fronti da influenzare la sua futura produzione.
«Esplorare i molteplici filoni dell’universo musicale è fondamentale per crescere, così come è necessario avere uno spirito d’avventura; non bisogna perdere la voglia di addentrarsi in nuovi territori alla ricerca di una strada personale senza imitare, se possibile, quello che già esiste».
Ad un giovane che si appresta a intraprendere la sua professione, quale consiglio si sente di dare?
«Di studiare e lavorare con passione cercando di approfondire anche repertori che provengono dal passato piuttosto che dalla musica contemporanea. Ma per riuscirci è necessario scollegarsi da certi modelli che oggigiorno appaiono come la scorciatoia per cercare la ribalta immediata».
Sbaglio o sembra una frecciata verso i talent?
«Generalizzare non mi piace, ma li ritengo qualcosa di innaturale, oltre che di ripetitivo. Per questo non m’interessano. L’amore per la musica – la buona musica – e la ricerca dell’unicità per lasciare traccia di sé stessi dovrebbe essere la stella polare dei giovani cantanti e musicisti. Invece tanti preferiscono copiare prodotti già visti pur di stare sotto i riflettori».
Ogni anno il pubblico si aspetta di rivederla a Sanremo, kermesse alla quale ha partecipato diverse volte e che l’ha vista vincere nel 1978 con i Matia Bazar (“…e dirsi ciao”). Eppure altri due trionfi, a detta di critici e opinione pubblica, li avrebbe meritati: con “Vacanza romane”, nel 1983, e da solista con “Amore lontanissimo” nel 1998…
«Vabbè, sappiamo come vanno certe cose al Festival. Non rinnego nulla delle partecipazioni sanremesi, ma tornare indietro e ripercorrere qualcosa che ha avuto un suo senso nel momento in cui è stata fatta sarebbe irragionevole».
Dopo l’uscita, lo scorso anno, di “Empatia”, l’album che aveva dedicato al mondo del volontariato, su quali progetti concentrerà i prossimi mesi?
«Ci sono tre progetti di inediti a cui sto lavorando da tempo, tutti legati a sonorità particolari e a musiche antiche rielaborate. Stanno prendendo forma, ma senza fretta perché non ci siamo dati una scadenza. È uno dei vantaggi che lavorare per una piccola etichetta indipendente come la nostra ti consente».
Un’artista libera di muoversi al di fuori di ogni imposizione commerciale o schema precostituito. Privilegio riservato solo alle grandissime.
Matteo Vincenzi