Applausi per “Die Zauberflὂte” al Ponchielli

CREMONA Dal tedesco all’italiano, la comprensione ci guadagna, e lo sforzo speso a rincorrere la traduzione appesa allo scroll luminoso può fare spazio al più lieve piacere di godersi la vicenda. Ma, se ad essere appannata è la sua scrittura arguta, affilata, stesa in punta di fioretto, e l’operazione semplificatoria tocca il suo mondo in perenne bilico tra volto e maschera, dramma e burla, cosa resta di Mozart? Die Zauberflte, Singspiel scritto e rappresentato pochi mesi prima della prematura morte del compositore in queste settimane in tournée nei teatri della provincia Lombarda, lo scorso 6 ottobre faceva tappa al Ponchielli di Cremona, in occasione dell’inaugurazione della Stagione Lirica. Serata di musica e di mondanità, con rappresentanti delle istituzioni in abito di gala accanto ad esponenti dell’imprenditoria cittadina, a chiara dimostrazione di un teatro sempre capace di dialogare con il suo territorio e di intercettarne bisogni e desideri. In scena, l’oriente indefinito della fiaba ordita da Schlikaneder trovava puntuale declinazione nella regia di Ivan Stefanutti (sua anche la firma a scene e costumi): una porta arabescata (la loggia che segna il confine tra i due mondi e che segna il limitare del regno della conoscenza, secondo il pensiero massonico), un orizzonte notturno un bosco popolato da una galleria di fanciulle incantevoli e minacciose regine, argute dame e piccoli geni, svampiti uccellatori e sognanti principi, sacerdoti benevoli e perfidi carcerieri, tutti abbigliati con vesti sgargianti e accessori vistosi. Contorni e colori perfetti per una traduzione essenziale quanto efficace di un immaginario nella cui tela la fitta, articolata simbologia che sottende alla narrazione finiva intenzionalmente solo a tratti esplicitamente affiorante. Scelta, questa, che faceva il paio con i dialoghi recitati in lingua italiana e non, come in origine, in tedesco, in un’evidente intenzione di abbattere – nel più vivo spirito del teatro popolare -, se non la stratificata ragnatela di indizi e messaggi annidati nella pelle della vicenda, almeno l’ostacolo della lingua. Affinché, però, questa operazione possa andare pienamente a segno, occorre lavorare di scalpello e di cesello sulla parola, sulla recitazione quali grimaldelli per dischiudere le porte di un mondo altrimenti inaccessibile. Nella prima recita cremonese, forse complice la complessa macchina drammaturgica ancora da rodare in tutte le sue componenti, questo avveniva solo a metà. Le tre Dame interpretate da Irene Celle, Julia Helena Bernhart e Aoxue Zhu con piena efficacia nelle parti cantate, risultavano subito pallide nel condurre l’ascoltatore attraverso l’indispensabile filo del parlato. E l’intricata ragnatela dei personaggi principali, dall’ottimo Francesco Lucii – bella vocalità prestata con gusto e sicurezza alla nobile causa dei suo Tamino – alla puntuale Pamina di Elisa Verzier, all’autorevole, seppur piuttosto inamidato, Sarastro di Renzo Ran fino allo scanzonato, luminoso Papageno di Pasquale Greco, sembrava complessivamente subire una macchina in cui l’incantesimo non decollava mai definitivamente, ormeggiato nell’orizzonte a vista di una fiaba a cui a mancare era proprio la magia della stupefazione. Solo Chiara Fiorani si sottraeva senza ombre al rischio di una pur garbata stucchevolezza e regalava alla sua Papagena la giusta commistione tra poesia e strampalata fantasia. In buca, alla testa dell’Orchestra de I Pomeriggi Musicali, James Meena imprimeva un tratto dalle apprezzabili intenzioni nel disegno delle frasi e nella ricerca della giusta tinta espressiva, ma non sempre il braccio sapeva declinare con la dovuta puntualità il pensiero. Già dagli accordi iniziali che sollevano il velo dell’Ouverture e gettano il perimetro della fiaba, l’aureo Mi bemolle di quell’universo di incorruttibile solennità vacillava, nel suo marmoreo smalto, all’incombere delle sottigliezze ritmiche, al ribollire della sostanza musicale che subito prende fuoco, leggera, pronta a contaminare tutto il creato con l’eccitata vitalità del suo passo, ma anche a spalancare la soglia della notte. Allo stesso modo, ancora da trovare era l’equilibrio con la scena, con l’effetto di una parte che, in più riprese, arrancava per inseguire l’altra. Nel complesso, tuttavia, un successo pieno, salutato da un Ponchielli gremito in cui numerosa era la presenza di giovani e giovanissimi. Trionfo per la Regina della Notte di Nicole Wacker, impeccabile nel punteggiare con perfetta intonazione acuti svettanti ma non altrettanto plastica nel dare spessore e profondità al suo personaggio. E applausi particolari per i tre geni dei giovanissimi Giulia Addamiano, Francesco Beschi e Teofana Prilipceanu.