Il Festival Cristofori di Padova si apre nel segno di uno straordinario Georgy Tchaidze

PADOVA Nell’eco del finale della Terza Sinfonia di Beethoven, sul suo aureo suggello a scandire, nel trionfale Mi bemolle, la limpida e definitiva affermazione di un’umanità gioiosamente rinnovata sulle ombre della morte, ha preso avvio, lo scorso 8 settembre, nella cornice mozzafiato del Palazzo della Ragione a Padova, la quinta edizione del Festival Pianistico Internazionale Bartolomeo Cristofori. Un’intera città che, in un calendario serrato, rende ancora una volta omaggio al suo illustre conterraneo a cui il mondo deve l’invenzione del pianoforte: fino al prossimo 20 settembre, palazzi, cortili, chiese, piazze si apriranno alla musica e, come nell’intento del Direttore Artistico della rassegna, Alessandro Tommasi, daranno vita ad una singolare sinergia tra linguaggi tesa a tracciare, nel segno della più ispirata contaminazione, nuove rotte di fruizione e di riflessione. Ad avere l’onore di tagliare il nastro, salutata dalle parole del Presidente dell’Associazione Cristofori Gian Paolo Pinton, è stata la valorosa compagine dell’Orchestra di Padova e del Veneto, fiore all’occhiello tra le realtà nazionali e qui plastica traduttrice di uno dei monumenti assoluti della letteratura di ogni tempo. Un racconto fedele e sincero che, sotto la guida di Wolfram Christ, storica Prima viola dei Berliner Philarmoniker, trovava il giusto affondo per esplorare, senza smarrirvisi, le ampie campate di questa straordinaria cattedrale e rivolgersi all’uditorio – un pubblico giunto numerosissimo a riempire con un magnifico colpo d’occhio l’immenso salone affrescato – per affidargli ben più di una pagina straordinariamente ispirata: piuttosto, un messaggio ideale, un testimone di coscienza da passarsi e da custodire per guardare al tempo con uno sguardo nuovo. Un concerto eroico, l’ha definito più di uno spettatore, e non solo per l’appellativo con cui la Sinfonia, originariamente destinata a celebrare la figura di Napoleone Bonaparte, è universalmente nota, ma anche per la smagliante prova offerta, in apertura di serata, da Georgy Tchaidze, prima stella di un firmamento di nomi che nel corso delle serate si avvicenderanno. La sua impronta granitica al servizio di una narrazione sempre immaginativa ha infatti scandito con superba autorevolezza – in un’interazione con l’orchestra che disegnava un dedalo di minuzie nel gioco di rimandi, di ritorni, di contrasti – il trittico di movimenti che compone il secondo Concerto di Shostakovich. Partitura in pericoloso bilico tra scoppi di giocosa spavalderia ed anse di struggente lirismo, il Concerto trovava nell’interpretazione del pianista georgiano – alla sua prima apparizione nel cartellone patavino – l’angolazione di una lettura intensa, snudata delle maschere della sua esibita strumentalità e dalle spezie di un graffiante humor, più affascinata dal cogliere l’impalpabile alone dell’incombente, amara malinconia che cova sotto l’armatura di sfiancanti galoppate e di sfrontati esercizi alla sbarra. Applausi scroscianti per un debutto perentorio che in un’acustica meno roboante avrebbe potuto essere gustato in tutta la sua pienezza, ma il colpo d’occhio della sala era impagabile. E saper restituire, in queste impervie condizioni, lo sfaccettato, nitido profilo di tanta bellezza è la firma dei soli eroi.
Elide Bergamaschi