MANTOVA – È una mostra che non si guarda soltanto: si attraversa. “Vanni Viviani – Il tempio delle mele”, allestita nella Sala delle Colonne del Museo Diocesano Francesco Gonzaga, è un viaggio immersivo nell’universo poetico, surreale e raffinato di un artista fuori dalle etichette. Aperta dal 28 giugno, l’esposizione — che doveva concludersi il 24 agosto — è stata ufficialmente prorogata al 7 settembre, attraversando idealmente anche il periodo del Festivaletteratura. Frutto della sinergia tra la Diocesi di Mantova, il Museo Diocesano e la Fondazione Banca Agricola Mantovana, la mostra propone 28 opere selezionate dal vasto corpus conservato presso Spazio ’900. «Non è una raccolta delle più belle», precisa il curatore Alberto Bernardelli, «ma una scelta armoniosa, costruita per dialogare con lo spazio, per raccontare un mondo interiore». Visionario e artigiano, Viviani sviluppa dagli anni Sessanta un linguaggio personalissimo, in cui la mela — simbolo arcano, biblico, mitologico — diventa l’alter ego dell’artista, protagonista silenziosa dei suoi racconti pittorici. «La mela — spiega Bernardelli — è la sua firma. È l’elemento plastico che rompe la parete e crea altri spazi. È la memoria, la provocazione, il sogno». Tecnica sopraffina, uso magistrale dell’aerografo, innesti di materiali reali come le spighe vere, avvolte in colle e pigmenti, ma anche il raffinato uso dell’antiquariato come base iniziale dell’opera: ogni tela è un mondo. «La sua arte — aggiunge Don Stefano Savoia — mescola tradizione e avanguardia. È futurista, classicista, simbolista. Ma soprattutto è un’arte spirituale. La mela diventa una metafora della vita, della pienezza, della conoscenza, della tentazione. Viviani riesce a evocare tutto questo con eleganza, leggerezza, profondità». A rendere possibile l’iniziativa è stato il lungo e proficuo lavoro con Fondazione BAM, proprietaria della collezione. «Le opere sono state donate — precisa Luca Giovannini, direttore della Fondazione — e per anni sono rimaste in attesa. Ora, grazie a Spazio ’900 e al Museo Diocesano, hanno trovato casa. Non si tratta solo di un deposito, ma di un luogo che respira, che restituisce vita alle opere. E questa mostra lo dimostra». A metà percorso espositivo, il 16 luglio, la mostra si trasformerà in esperienza multisensoriale. Alle 19.15, previa prenotazione, si terrà una serata speciale che unirà arte e gusto. «Accompagneremo i partecipanti in una visita guidata — annuncia Bernardelli —, poi seguiranno letture poetiche di Federica Restani e Raffaele Latagliata, su testi scelti da letteratura e mitologia, sempre attorno al tema della mela». Infine, nel chiostro, cena tematica a cura dell’Accademia Gonzaghesca degli Scalchi: un menù ispirato, naturalmente, al pomo. «Dopo averlo visto e ascoltato — scherza Marco Rebuzzi — sarà il momento di assaggiarlo. Promettiamo: nessuna mela avvelenata». Una mostra che parla di arte, ma anche di rinascita, di memoria e di identità. «È un matrimonio che funziona — conclude don Savoia —, quello tra il Museo e la Fondazione BAM. Insieme permettono di riportare alla luce uno dei pittori più originali del secondo Novecento. E i mantovani potranno finalmente riscoprirlo». La mostra è visitabile venerdì, sabato, domenica, dalle 9:30–12:00 e 15:00–17:30. Ingresso libero. Antonia Bersellini Baroni