MANTOVA – Uno tra i poeti più apprezzati del panorama internazionale; un successo costatogli, però l’abbandono della sua terrà, la Cina, dopo la rivolta di Piazza Tienanmen per la posizione presa nelle sue opere. Lian Yang, tra gli ospiti del FestLet, ha raccontato il valore della poesia, come arte ma anche unione tra i popoli in un mondo spesso globalizzato solo sul piano economico.
Cos’è per lei la poesia contemporanea?
«La poesia contemporanea è difficile perché dietro c’è la poesia cinese classica con tutta la sua esperienza di vita, la bellezza squisita del linguaggio. Questo alto livello crea una grande sfida per noi, un confronto in cui si deve trovare la via di mezzo. Nel mio libro c’è una sezione di opere neoclassiche dove la forma si avvicina all’idea della poesia classica ma ogni testo ha una sua forma. Ci sono dei vincoli ma ciascun poema costituisce una forma a sé».
La poesia, dunque anche come espressione di libertà e di crescita?
«La poesia non è un segreto, è aperta a tutti. Io ho letto i grandi classici con la comprensione che può averne un giovane poi ho capito che tra me e questi testi c’era un rapporto che si approfondiva: a poesia si apre ai nostri occhi ed ai nostri cuori; basta sapersi aprire. Questo vale per un lettore e per un poeta.
Le sue poesie le sono, però costate l’addio alla sua patria…
«Nel 1989 durante la rivolta di Piazza Tienanmen non ero in Cina quando alcuni miei libri venivano censurati. Quello per me è stato il primo giorno dell’esilio e per quello decisi di non tornare. Il poeta non era stato messo al bando ma la libertà della poesia che deve rifiutare ogni controllo politico. L’esilio è stato per me una scelta così come lo è stato il desiderio di continuare a conoscere il mondo aumentando la mia comprensione della Cina».
Parliamo allora della Cina, come la descriverebbe oggi?
«La Cina è complessa a livello politico, economico e sociale e questo rappresenta un buco nero nella storia. Negli ultimi 30 anni si è parlato di riforme ma, purtroppo, la gente deve convivere con il socialismo ed il capitalismo peggiore che sfociano nel controllo e nel tentativo di distruggere il pensiero. Sempre piu spesso vediamo opere ed autori messi al bando: accade nel mondo ed accade in Cina; la sfida è riuscire a capacitarci di questo».
La Cina negli ultimi mesi è stata al centro della cronaca per la pandemia da Covid-19: come è stata affrontata l’emergenza dal Paese?
«In Cina è uno stato in cui tutto è poco chiaro ed anche nel caso della pandemia nessuno sa davvero cosa sia successo, perché la gente vive in un buco nero senza informazioni. La gente non trova un punto di riferimento: un medico è stato interpellato su tema chiedendo se ci si dovesse fidare più delle informazioni cinesi o di quelle straniere. Lui ha risposto chiedendo se “preferireste comprare una macchina cinese o una straniera? Giudicate della qualità della macchina e quindi della sanità”. Le dichiarazioni ufficiali descrivono la Cina come il miglior Stato ma il tasso di infezione è di decessi non sono affatto chiari».