Sabbioneta Nonostante il caldo torrido, la chiesa della Beata Vergine del Carmine domenica scorsa era gremita di gente. Motivo: la riapertura dopo oltre dieci anni di chiusura forzata, a causa dei danni provocati dal terremoto del 2012. Ai vespri solenni e alla celebrazione dell’Eucarestia ha fatto seguito un’ora di illustrazione delle bellezze e della storia dell’edificio, a cura del parroco don Samuele Riva. Non prima dei doverosi ringraziamenti per tutti coloro che hanno reso possibile il recupero: in primis la ditta Panguaneta, che col suo provvidenziale sostegno economico ha consentito di mettere in sicurezza la struttura, a rischio di implosione. La facciata, infatti, si era completamente staccata dal resto dell’edificio e a malapena reggeva ancora la volta del tetto. Secondo gli esperti, ha spiegato don Riva, fortunatamente la chiesa del Carmine “è come un budino”, se la struttura fosse stata più rigida oggi ci sarebbe solo un cumulo di macerie. Quindi la ditta Nuova Favagrossa, che ha eseguito magistralmente i lavori, tenendo montato il ponteggio interno per dieci anni senza chiedere nulla. Poi Ministero e Soprintendenza, che col loro contributo hanno consentito il recupero dell’edificio e il restauro di tutta la copertura interna, che alterna i delicati stucchi bianchi a una colorazione azzurro cielo uniforme. Durante i lavori, tra l’altro, si è palesata la primitiva decorazione ad affresco barocca, che però la Soprintendenza ha fatto ricoprire, per conservare l’aspetto ormai storicizzato della decorazione settecentesca. Quindi l’architetto sabbionetano Guido Boroni Grazioli, che ha seguito passo passo tutti gli interventi, con la perizia che lo contraddistingue. Infine l’equipe ecologica, ossia lo stuolo di volontari che tutti i lunedì ha dato una mano per ripulire l’interno dell’edificio. Alla fine applausi e tante foto, per suggellare l’evento che restituisce alla città una delle chiese più antiche del centro storico.
Ugo Boni