Uno studio del Museo delle Scienze di Trento (MUSE) e dell’Università di Firenze recentemente pubblicato ha rivelato gli effetti di lungo periodo sulla fauna selvatica della frequentazione escursionistica negli ambienti montani.
I ricercatori hanno utilizzato fototrappole in modo sistematico per sette estati consecutive, dal 2015 al 2021, ogni anno tra la prima settimana di giugno e l’ultima di agosto. L’area oggetto dello studio si estende per circa 220 km2 ed è situata in provincia di Trento, intorno al lago di Molveno, e comprende parte del Parco Naturale Adamello Brenta. La zona scelta per l’indagine è estremamente importante: da un lato, essa coincide con l’area principale della popolazione di orso bruno delle Alpi centrali che è stata reintrodotta nei primi anni 2000. D’altra parte, rappresenta un’importante meta turistica per l’escursionismo, la mountain bike e il turismo all’aria aperta in generale, con circa un milione di visitatori ogni anno e 100.000 passaggi di veicoli nelle valli principali.
La convivenza di turisti e animali selvatici è un tema fondamentale per lo sviluppo del territorio alpino e la ricerca condotta del MUSE e dell’Università di Firenze conferma l’impatto significativo dell’uomo sulle abitudini animali. “I risultati delle analisi – spiega Marco Salvatori, dottorando dell’Università di Firenze in collaborazione con il MUSE e primo autore dello studio – ci mostrano che delle oltre 500 mila foto raccolte in 7 anni di ricerca, il 70% ritrae persone e il tasso di passaggio umano di fronte alle fototrappole è stato 7 volte superiore a quello della specie selvatica più comune nell’area, la volpe, e addirittura 70 volte superiore a quello dell’orso, la specie che è risultata più raramente fotografata.”. Insomma, tanti turisti di passaggio e molti meno animali.
Tutte le 8 specie considerate (orso, cervo, camoscio, capriolo, tasso, volpe, lepre e faina) hanno mostrato una chiara tendenza a preferire le ore notturne vicino ai centri abitati e nelle zone più frequentate per diminuire la probabilità di incontrare persone. Inoltre le specie di maggiori dimensioni, come l’orso, il cervo e il camoscio, hanno evidenziato anche una chiara tendenza ad evitare in generale le zone in cui il passaggio umano è più intenso.
Nessun problema? In realtà ricercatori ci ricordano che questi comportamenti non sono “gratuiti” per gli animali: dovendo evitare l’uomo, si vedono spesso costretti a seguire percorsi non ottimali, facendo più fatica e frequentando aree con meno cibo. Ed è Francesco Rovero, docente di ecologia dell’Università di Firenze e coordinatore dello studio, a lanciare la prossima sfida: “Se, da parte degli animali, l’impegno a evitare il contatto con gli esseri umani è notevole, ora sta anche a noi umani fare attenzione adottando – ad esempio – alcune misure per limitare l’accesso ad alcune aree dei parchi naturali nei periodi dell’anno più delicati per la fauna, una strategia già ampliamente applicata in molte parti del mondo”. (eg)