Processo Brescello, quattro anni a commercialista mantovano

coffrini-e-vezzani-bis-1050x665_3456489-696x441

MANTOVA Nove patteggiamenti definiti, una ratifica di giudizio abbreviato da discutersi a fine maggio e due istanze difensive di non luogo a procedere stante la rinuncia degli imputati ad avvalersi di riti alternativi. Questo quanto scaturito ieri, all’esito dell’udienza preliminare innanzi al gup di Bologna Roberta Malavasi, nell’ambito del nuovo filone investigativo della Dda felsinea circa le infiltrazioni di matrice ‘ndranghetista in Emilia del clan cutrese Grande Aracri, e in special modo nel comune reggiano di Brescello ma con propaggini estesesi fin oltre il confine mantovano.
Una sorta di “Grimilde bis”, connesso ma distinto rispetto alla ben nota operazione scattata nel 2019, per cui la direzione distrettuale antimafia bolognese aveva a suo tempo proposto il rinvio a giudizio nei confronti di dodici persone, molte delle quali già toccate dalla precedente indagine, oltre anche ad alcuni volti nuovi. Tra questi ultimi, in primis, gli ex sindaci del paese di “Don Camillo e Peppone” Giuseppe Vezzani, originario di Viadana, e Marcello Coffrini. Per entrambi l’accusa formulata dagli inquirenti è di concorso esterno alla mafia. L’avviso di fine indagini per tale precipua ipotesi di reato era stato loro recapitato nel giugno del 2023 a firma del procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato e del pubblico ministero della Dda Beatrice Ronchi. Nello specifico alcuni elementi poi confluiti nel novero delle contestazioni ai due ex primi cittadini erano emersi sia dalle vicende che portarono allo scioglimento del Comune che al processo Grimilde. Stando infatti al quadro accusatorio, a Vezzani e Coffrini verrebbero addebitate una pluralità di condotte al fine di «garantirsi nel tempo, con radici precedenti al 2004, l’appoggio del bacino di elettori, non solo calabresi, controllati dal sodalizio di ‘ndrangheta», nonché svolgendo il proprio mandato amministrativo «tutelando gli interessi dello stesso sodalizio, o di alcuni suoi esponenti anche di vertice, così da rafforzare la consorteria». Per quanto concerne poi Coffrini questi, nella seduta della scorsa settimana, era stato sottoposto a interrogatorio parlando per la prima volta e rispondendo per tre ore alle domande del Pm Ronchi, rivendicando nella circostanza la correttezza del proprio operato amministrativo. Martedì prossimo verrà quindi deciso dal gup se rinviarli a giudizio oppure scagionarli. Tra gli altri imputati per cui lo scorso dicembre era già stato richiesto il processo figurano i fratelli Rosita e Salvatore Grande Aracri, figli di Francesco (quest’ultimo condannato in Grimilde a 24 anni di reclusione in abbreviato) nonché nipoti del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri. Ma mentre alla 42enne (unica a optare per l’abbreviato) è addebitata l’associazione mafiosa al secondo, in concorso tra gli altri con Mauro Usuardi, commercialista e revisore contabile nato a Suzzara e residente a Parma, era contestato il riciclaggio con l’aggravante di aver agevolato il clan. In particolare, nell’agosto-settembre 2016 tra Reggio e Parma, per aver contribuito a trasferire denaro di provenienza delittuosa dalla società italo-maltese Maloa ltd attraverso operazioni bancarie, con ripetuti passaggi di denaro su diversi conti correnti. Usuardi, mettendo a disposizione la propria carta prepagata con Iban lussembughese, avrebbe infatti ricevuto dalla Maloa 100.256 euro, trattenendo per sé 5.256 euro «quale remunerazione per la disponibilità prestata alla cosca» e smistando gli altri 95mila a Salvatore Grande Aracri, ai fratelli Giuseppe e Albino Caruso, Pascal Varano, Claudio Bologna, Leonardo Villirillo, già condannati tutti in via definitiva in Grimilde con rito abbreviato. Per gli ultimi cinque il patteggiamento, in continuazione con la precedente condanna comminata loro, è stato quindi di 9 mesi ciascuno. Un anno e mezzo invece il patteggiamento di Salvatore Grande Aracri mentre per Mauro Usuardi, unico a veder cadere l’aggravante di mafia, la pena applicata è stata di 4 anni e 9mila euro di multa. Infine, oltre a Devid Sassi (9 mesi pure a lui in continuazione) per la prima volta era comparso anche il nome di Paolo Pucci, nipote della moglie di Francesco Grande Aracri, accusato di minacce aggravate dal metodo mafioso in danno del padre del viadanese Manuel Conte, sulla scorta delle dichiarazioni da loro rese in Grimilde. In quest’ultimo caso la pena è stata di 4 mesi.

newspaper-rec728