Crisi della Corneliani: il fondo lascia o raddoppia?

MANTOVA «Almeno 10 milioni» li metterà lo Stato, risulta dal protocollo siglato l’altro ieri al tavolo della Prefettura organizzato dal Mise; una dicitura che lascerebbe intendere l’eventualità che la cifra si accresca attingendo al fondo previsto per i marchi storici dal decreto “Rilancio”. Ma l’attenzione dei sindacati, e forse dello stesso ministero dello sviluppo, è puntata sugli azionisti della Corneliani. Il fondo arabo, detentore dell’86,5% del capitale, e la famiglia Corneliani che conta per il rimanente, di impegni veri e propri non parrebbero averne presi. Investcorp, rappresentato al tavolo dall’avvocato milanese  Paolo Montironi, e la famiglia rappresentata invece da  Elisa Corghi,  Stefano e  Cristiano Corneliani, al momento non si sono sbilanciati, pur sapendo che una mancata iniezione di capitale potrebbe pregiudicare le sorti aziendali.
Secondo le stime sindacali, con i 10 milioni messi a disposizione dallo Stato, più i 5 rimasti in cassa, la produzione non andrebbe oltre metà gennaio 2021. Rimane peraltro aperta la voragine dei 3.500 creditori (compresi i 1.200 dipendenti), a fronte dei quali lo stesso fondo arabo-londinese aveva presentato istanza di concordato preventivo.
«Nel momento in cui lo Stato, che siamo noi, ci mette 10 milioni, noi stessi siamo indotti a chiedere: chi ci ha trascinati in questa situazione non ci mette niente?», commenta il segretario della Filctem Cgil  Michele Orezzi, che però preferisce non pronunciarsi sui futuri assetti societari nei quali potrebbe entrare di diritto lo stesso Stato; «Per sapere come andrà bisogna prima capire anche quali saranno gli attuativi del decreto», precisa Orezzi. Ma a questo punto la questione si sposta su un altro terreno non meno minato.
Anche un eventuale versamento di capitale da parte dei soci, paventano i sindacati, potrebbe risultare non risolutivo: «Quello che noi aspettiamo davvero è un piano industriale. Per questo non abbassiamo la guardia, manteniamo il presidio e vogliamo tenere aperto il tavolo del Mise», conclude il leader sindacale.