Delitto del Boma: giudizio abbreviato per gli imputati, rischiano 30 anni di carcere

MANTOVA  Hanno chiesto ed ottenuto entrambi di potersi avvalere del giudizio con rito abbreviato che, in caso di condanna, garantirà loro uno sconto di pena pari ad un terzo del totale. Questa la strategia processuale avanzata ieri dai difensori, e quindi avallata all’esito dell’udienza preliminare dal gup Beatrice Bergamasco, dei due presunti responsabili del delitto del Boma, Abdelwahad Hoshush, 32 anni marocchino e Bouchta Bouchari, 35enne suo connazionale. L’ipotesi di reato formalizzata a loro carico dal sostituto procuratore Fa b r i z i o Celenza, titolare del fascicolo d’indagine, è di omicidio volontario e tentato omicidio. Se giudicati colpevoli – il prossimo 13 settembre – rischiano fino a trent’anni di reclusione, in virtù del rito alternativo scelto. Lo scorso maggio, durante l’ultimo interrogatorio con il magistrato inquirente, il primo (che ieri, sempre tramite i propri legali ha altresì depositato una consulenza medica di parte, circa ferite e contusioni da lui riportate durante quei cruenti istanti) si era avvalso della facoltà di non rispondere mentre il secondo aveva ribadito integralmente la versione da lui già resa all’indomani del proprio arresto, scaricando tutta la colpa sul complice. Nello specifico il fatto di sangue era occorso la notte del 2 luglio 2021, nel piazzale del centro commerciale “La Favorita”. Vittime del brutale pestaggio, perpetrato a colpi di mazza da baseball, Atilio N d re k a j, 24enne albanese all’epoca domiciliato da qualche tempo nel capoluogo virgiliano a casa di uno zio (costituitosi parte civile unitamente al fratello del giovane deceduto con l’av vo c a t o Omar B o t t a ro) e Pierfrancesco Ferrari, 36 anni di San Giorgio (a processo anch’egli quale parte civile con l’avvocato Arianna Monelli). Il primo deceduto all’ospedale Carlo Poma dopo quarantottore di agonia, il secondo invece, sopravvissuto fortunatamente a quello che fin da subito era apparso come un agguato in piena regola addebitabile, secondo l’ipotesi investigativa, ad un regolamento di conti in materia di stupefacenti. Stando agli elementi probatori addotti sarebbe stato il 32enne, a giudizio con gli avvocati Marina Manfredi del Foro di Brescia e Stefania Giribaldi del Foro di Cremona, a percuotere ripetutamente al capo il giovane albanese, dopo aver sfilato di mano la mazza a questi. L’amico invece – agendo a suon di pugni e bottigliate – avrebbe ricoperto un ruolo da comprimario ma pur sempre determinante nel portar a compimento l’intento omicida. Le immediate ricerche avevano quindi portato i militari dell’Arma ad individuare, sei giorni dopo nei pressi di Varese, uno dei presunti autori materiali di quel pestaggio finito con un morto ammazzato. In manette era così finito Bouchari, (difeso dall’avvocato Emanuele Luppi del Foro di Verona) attualmente ristretto in regime domiciliare a Firenze ma in quell’ultimo periodo risultato di stanza a Suzzara anche se, di fatto, senza fissa dimora. Il complice invece, soprannominato “il macellaio”, era stato fermato, dopo sei mesi di latitanza, ad Algeciras, cittadina a poca distanza da Gibilterra. Nella circostanza il fuggitivo, irregolare sia in Italia che nello Stato iberico, era stato identificato lo scorso gennaio dai carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo di Mantova, in collaborazione con il Servizio di cooperazione internazionale di Polizia (Scip), prima di venire estradato e associato alla casa circondariale di Mantova, dove si trova tuttora detenuto.