Delitto Turina, il Pm: “Crudeltà dell’imputato nell’uccidere”

MANTOVA  La richiesta è arrivata in serata, al termine di un’udienza fiume in Corte d’Assise di quasi dieci ore. Un epilogo di seduta del tutto inaspettato quello che, l’altro ieri, ha visto il pubblico ministero Giulio Tamburini contestare all’imputato Enrico Zenatti l’ulteriore aggravante da ergastolo della crudeltà, circa il solo capo dell’omicidio volontario, nel processo che vede il 55enne veronese accusato dell’assassinio oltreché del tentato omicidio della suocera, Anna Turina. Un’istanza giunta all’esito dell’escussione del consulente medico legale della difesa svoltasi in contraddittorio con l’altro perito incaricato dal Pm. Stando a quanto addotto all’istruttoria dibattimentale dalla dottoressa Sara Mantovani infatti, contrariamente a quanto stabilito in sede di esame autoptico dal dottor Nicola Pigaiani, (Ctp del pubblica accusa), una parte delle lesività, ovvero quelle rinvenute al cranio della pensionata – morta ammazzata il 9 dicembre 2021 nella propria abitazione a Malavicina di Roverbella – sarebbero compatibili con l’azione data da un corpo contundente atipico e non da un’arma da taglio. Nel caso di specie in questione tali lesioni sarebbero quindi state provocate da una caduta accidentale dalle scale, a fronte di un taglio non netto dei tessuti epidermici. «Definire tale ferita come scalpo – ha spiegato la professionista in videocollegamento – risulta alquanto difficile, in quanto non riscontro scuoiature con incisioni da lama ma bensì traumi riconducibili ad un urto violento, nella circostanza provocati, sulla scorta delle numerose tracce ematiche rinvenute, dall’impatto contro lo spigolo molto acuminato di uno dei gradini della scala che dal pian terreno conduce in cantina». Un evento, secondo tale tesi del tutto casuale quindi, quello occorso attorno alle 15.30 di quel giorno nella villetta di via Largo Puccini, contrariamente invece a quello successivo che ha determinato poi la morte della pensionata. Vale a dire, nell’ambito delle 17 lesioni appurate in fase di autopsia dal dottor Pigaiani quella inopinabilmente più grave e incompatibile con la vita riscontratale al collo. In questo caso provocata sì da un mezzo tagliente con recisione della carotide e della vena giugulare a fronte di almeno sei profondi tagli interni o “codette” giunti addirittura a scalfirne la colonna vertebrale. In tale circostanza però, sempre secondo gli elementi portati a sostegno dal perito della difesa non può essere stata di Zenatti la “mano omicida” ma di un altro soggetto in quel momento presente sulla scena del crimine, e non precedente all’arrivo dei due figli della 73enne e del genero stesso, che avrebbe portato a compimento il proprio intento delittuoso in circa un minuto, utilizzando un grosso coltello da cucina e con la vittima già stesa a terra. Particolare quest’ultimo che striderebbe però con quanto asserito in sede di esame dallo stesso imputato secondo cui, al suo arrivo in casa la suocera, seppur ferita, si trovava ancora in posizione eretta. Sulla scorta di tale discrepanza nonché avallando una diversa opinione circa il reale responsabile il magistrato inquirente ha quindi optato per addebitare all’accusato l’ulteriore circostanza aggravante dell’aver agito con crudeltà caratterizzata, secondo la statuizione della Cassazione, «da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, che deve essere oggetto di accertamento alla stregua delle modalità della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti alle note impulsive del dolo».