Il pentito ai Grande Aracri: “Collaborate con la giustizia”

MANTOVA   «Se i Grande Aracri volessero collaborare sarebbe buona cosa. Collaborare con la giustizia conviene sempre». Queste le parole del “pentito” di ‘ndrangheta Antonio Valerio, escusso ieri in qualità di testimone nella nuova seduta dibattimentale del processo “Grimilde”, in corso con rito ordinario a Reggio Emilia e relativo alle attività illecite degli esponenti della consorteria di Cutro non solo in Emilia ma anche nel Mantovano. Valerio, 55 anni e una trentennale carriera criminale alle spalle (erano lui e Gaetano Blasco i due che ridevano durante il terremoto del 2012 fiutando gli affari d’oro della ricostruzione), aveva contribuito con le proprie dichiarazioni a cementare l’impianto accusatorio del maxi processo Aemilia iniziando a collaborare con gli inquirenti nel giugno del 2017. Gli affari illegali che Francesco Grande Aracri, fratello del boss Nicolino, e i suoi figli Salvatore (condannato recentemente a 14 anni e 4 mesi in secondo grado nell’abbreviato di Grimilde) e Paolo portavano avanti sulle sponde del Po, così come il loro agire “nell’ombra” per non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, sono tutti elementi confermati da Valerio che colloca il suo primo incontro con due dei fratelli Grande Aracri – l’odierno imputato Francesco e Rosario – nel 1998, in un bar della piazza centrale di Brescello. Il collaboratore di giustizia ha precisato che «in quel periodo i due fratelli erano allo stesso livello, ma per questioni di business bisognava rivolgersi a Rosario». Poi i ruoli si invertirono e al timone del sodalizo passò Francesco, fino alla  condanna per associazione mafiosa riportata nel 2003 nell’ambito dell’inchiesta Edilpiovra. A quel punto, prosegue Valerio, «il brand Grande Aracri era sì importante a livello ‘ndranghetistico, ma anche esposto. E Francesco decise così di fare un passo indietro interponendo il figlio Salvatore». Questi, soprannominato “il calamaro” per l’indole tentacolare negli affari, ricevette “l’investitura” in un giorno e in un modo entrambi particolari. Durante la festa per il suo matrimonio, occorso nel 2006, fu infatti recapitata e letta davanti a tutti gli invitati una lettera di Nicolino Grande Aracri – definita da Valerio “la bolla papale” – in cui il boss detenuto ordinava a tutti gli affiliati di mettersi al servizio del nipote. Il collaboratore, circa l’incontro tra lui e Francesco Grande Aracri alla fiera di Bologna, ha confermato rimarcando però che non fu affatto l’unico.