Moria delle imprese nel primo trimestre (anche senza il virus)

LAVORO

MANTOVA Il saldo delle imprese virgiliane di fine 2019 era già in rosso. Quello del primo trimestre 2019 è nero pece. A fronte di 572 nuove iscrizioni alla Camera di Commercio, il primo quarto di quest’anno ha registrato 956 cancellazioni, portando a un saldo negativo di -384 imprese, sul totale di 39.092 registrazioni. Il tutto peraltro in considerazione del fatto che le disposizioni restrittive per il coronavirus sono scattate solo nella prima decade di marzo
In rapporto alla frequenza di attività riscontrabili in altre province, oltre che in rapporto alla popolazione, la situazione mantovana è decisamente più critica di quella di Milano o Bergamo o Brescia.
La situazione generale è comunque segnalata con la debita preoccupazione dalla Cna virgiliana. «In simili circostanze – commenta il responsabile delle relazioni esterne  Franco Bruno – parlano le cifre: quasi 30mila imprese italiane in meno nei primi tre mesi del 2020. Il saldo peggiore da 7 anni a questa parte. Una sorta di anticipo dello tsunami che l’epidemia di coronavirus ha scatenato e che del periodo in esame ha effettivamente coperto solo una ventina di giorni. Aggiungendosi, altresì, a una crisi latente: l’ultimo trimestre del 2019 aveva già lasciato sul terreno circa 21mila imprese. Una situazione drammatica per l’economia, l’occupazione e la tenuta del welfare del nostro Paese».
A registrare il crollo è stata l’indagine periodica di Unioncamere-Infocamere. Almeno a 7 miliardi di euro ammonta la stima della perdita di fatturato delle imprese artigiane a livello nazionale (compresa la provincia di Mantova) che dal 12 marzo al 13 aprile hanno subito la chiusura governativa a causa della pandemia.
I comparti più colpiti, a detta della Cna sono le costruzioni, la manifattura e i servizi alla persona (estetiste, acconciatori, autoriparatori, ecc.), senza dimenticare pasticceri, autotrasportatori e altro.
«L’artigianato rischia l’estinzione – prosegue Bruno – a fronte dei mancati incassi, degli affitti insostenibili, di una pressione fiscale e burocratica ossessiva, dei ritardi dei pagamenti per servizi già effettuati alla committenza che comportano all’azzeramento della liquidità. Ma il problema è anche strutturale e culturale dal momento che si ragiona solo con i grandi numeri, sugli investimenti in Borsa, sulla grande finanza, le mega strutture produttive e di riflesso gli artigiani sono solo diventati un bancomat per lo Stato».
Certamente l’emergenza sanitaria ha acuito i problemi, ma il grido d’allarme lanciato dagli artigiani ai vari governi succedutisi negli anni «non è mai stato ascoltato seriamente, se non in modo sporadico. Basti pensare alla strage silenziosa di morti innocenti, artigiani, piccoli imprenditori, lavoratori e di migliaia di aziende che hanno chiuso a causa della grande crisi economica del 2018. L’emergenza dell’artigianato mantovano si trascina da anni se consideriamo l’erosione continua del calo delle imprese iscritte in Cciaa. Dal 2009 al 2017 il saldo negativo è stato di -514 imprese nel mantovano. Ciò significa che la sofferenza si trascina da anni a prescindere dell’emergenza sanitaria che ha travolto il Paese e di riflesso non è mai stata intrapresa una politica su misura per gli artigiani», conclude Bruno.