Sinagi, 75 anni dalla parte di edicole e giornalai

Compie 75 anni il Sinagi – Sindacato Nazionale Giornalai d’Italia – nato nel 1948 a seguito della riorganizzazione sindacale dei rivenditori di giornali dopo la Liberazione. Le prime forme di organizzazione sindacale degli edicolanti italiani prese avvio dalla seconda metà degli anni Venti del secolo scorso. L’allora Sindacato Nazionale dei Rivenditori era tale più di nome che di fatto, nasceva nel clima oppressivo del corporativismo dettato dal Regime, aveva configurazione provinciale legata al particolarismo del territorio. Vennero stipulate allora le prime convenzioni con l’Associazione Nazionale degli Editori, che prevedevano una tessera speciale rilasciata all’edicolante. La “tessera” lo escludeva dall’osservanza delle leggi sul commercio, ma era sottoposta al vaglio delle associazioni di editori e rivenditori in base all’accordo stipulato tra loro. Le rivendite dovevano essere registrate e controllate dalle questure, come del resto tutta la stampa in base alle leggi fasciste. Con la fine della seconda guerra mondiale, ma in realtà già un anno prima in forma “clandestina”, il Sindacato di Rivenditori di Giornali di Firenze diede vita ad una cooperativa di giornalai, iniziando così ad uscire dal sistema corporativo. Fino a che, nel 1946, tutte le strutture provinciali confluiscono in un Sindacato Nazionale, formalizzando l’istituzione ufficiale nel 1948. Sinagi (oggi affiliato Slc-Cgil) è in prima linea anche a Mantova, retta dal segretario Alcide Boni, trait d’union tra edicolanti, agenzia distributiva, editori e istituzioni territoriali. Abbiamo approfondito il tema delle battaglie del sindacato e delle difficoltà che stanno vivendo le edicole con il segretario nazionale Sinagi Giuseppe Marchica.
Segretario Marchica, che compleanno è stato?
«Di lavoro. La categoria vive una crisi importante tanto che da tempo abbiamo avviato una serie di iniziative per sostenere la rete di vendita, sperando in risposte positive e, soprattutto, di poter finalmente rinnovare il contratto nazionale ormai scaduto da 13 anni ma che fino ad oggi gli editori si sono rifiutati di firmare»
Come si può contrastare la crisi delle edicole?
«Il problema di fondo è che la gente legge sempre di meno, soprattutto i giovani che si accontentano di sbirciare frettolosamente i titoli delle notizie che passano su Google e poi vengono rilanciate dai siti web e dai social. C’è una preoccupante disaffezione alla lettura e si è persa la voglia di approfondire un argomento sui giornali. E questo è un problema per l’intera filiera e, lasciatemelo dire, anche culturale».
A monte c’era stato anche il problema legato alle liberalizzazioni che aveva inflitto un duro colpo alle edicole.
«Sicuramente quel provvedimento ha inciso in maniera negativa. Un supermercato, per dire, che vende i giornali di fatto ha arrecato un danno enorme alle edicole, in taluni casi costringendole a chiudere e costringendo tanti rivenditori a cambiare mestiere. Accentrare tutto in grandi strutture di vendita ha inevitabilmente portato ad una lenta desertificazione dei nostri quartieri. C’è poi un aspetto psicologico da considerare: equiparare il giornale a qualsiasi altro prodotto riposto tra le corsie di un supermercato è mortificante».
Le edicole oltre che luoghi d’informazione sono da sempre anche punti d’incontro. La loro rilevanza è stata riscoperta durante la pandemia, quando di fatto sono trasformate in avamposti della “normalità” perduta. Eppure sembra già un ricordo lontano.
«Ci piace paragonare le edicole alle lanterne che tengono “accese” le nostre città e i nostri paesi. E quando si spegne una di queste “luci”, si spegne la anche la socialità. Ecco perché continuiamo convintamente a riaffermare che le edicole sono un patrimonio di cultura e democrazia da salvaguardare e valorizzare».
Domanda secca: cosa chiedete agli editori e al Governo?
«Agli editori di andare finalmente incontro agli edicolanti e al Governo di aiutarci a sostenere la rete delle edicole, favorendo l’ampliamento dei servizi. Ma senza perdere ulteriore tempo».
Matteo Vincenzi