Truffa ed estorsione alla Riseria, la procura: ricorso da rigettarsi

MANTOVA Con nuove discussioni da parte di accusa e difese è proseguito ieri, nell’aula bunker del carcere bolognese della Dozza, il processo di secondo grado con rito abbreviato sviluppatosi dall’inchiesta “Grimilde”, circa le infiltrazioni di matrice ‘ndranghetista al nord. Davanti ai giudici della Corte d’Appello felsinea presieduta da Orazio Pescatore, sono quindi state vagliate le posizioni di parte dei 40 imputati ricorrenti avverso le sentenze di primo grado emesse il 26 ottobre 2020 dal gup di Reggio Emilia.
Nello specifico l’indagine condotta dalla Dda di Bologna attiene i presunti illeciti attribuiti alla cosca Grande Aracri e ai propri sodali, perpetrati nell’area emiliana con base a Brescello e non solo. A dover rispondere di associazione mafiosa, tra gli altri, Salvatore Grande Aracri, 42enne figlio di Francesco e fratello di Paolo (entrambi a processo per 416 bis a Reggio in “Grimilde” con rito ordinario), oltreché nipote del boss cutrese Nicolino Grande Aracri. Stessa accusa per l’ex presidente del consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso. Per il 42enne e l’ex politico, il gup Sandro Pecorella aveva disposto in primo grado la pena più pesante: vent’anni. Imputato per mafia anche Albino Caruso, fratello dell’ex amministratore pubblico (12 anni e 10 mesi in primo grado). E poi i reggiani Francesco Muto (classe 1967 di Brescello condannato in primo grado a 11 anni e 2 mesi), Pascal Varano, 34enne di Poviglio (11 anni e 9 mesi) e il 43enne di Reggio Domenico Spagnolo (11 anni). E ancora i parmigiani Giuseppe Strangio e Claudio Bologna (entrambi 11 anni, 8 mesi e 20 giorni). Tre invece i ricorrenti mantovani: Manuel Conte, 30enne viadanese (4 anni e 1 mese), Davide Gaspari, 44 anni condannato a due anni di carcere, e infine Pietro Passafaro, 58 anni anch’egli di Viadana (3 anni e 4 mesi).
Tra le diverse posizioni prese al vaglio ieri dal procuratore generale Lucia Musti e dal pubblico ministero della Dda bolognese Beatrice Ronchi anche quella del già citato Claudio Bologna, attualmente ristretto nella casa circondariale di Tolmezzo e finito alla sbarra tra le altre accuse per una vicenda di truffa ed estorsione in concorso, aggravata dal metodo mafioso, posta tra il 2015 e 2016 ai danni della Riseria Roncaia di Castelbelforte.
Nello specifico dunque, a fronte di una richiesta del difensore di non riconoscere a carico del proprio assistito l’aggravante dell’associazione a delinquere per mancanza di presupposti soggettivi – pur confermando in toto l’impianto accusatorio ex articoli 640 e 629 codice penale – il pm ha di contro ribattuto chiedendo il rigetto dell’impugnata sentenza con relativa conferma della condanna a lui ascritta in primo grado. Prossima udienza il 4 maggio.Mantova Con nuove discussioni da parte di accusa e difese è proseguito ieri, nell’aula bunker del carcere bolognese della Dozza, il processo di secondo grado con rito abbreviato sviluppatosi dall’inchiesta “Grimilde”, circa le infiltrazioni di matrice ‘ndranghetista al nord. Davanti ai giudici della Corte d’Appello felsinea presieduta da Orazio Pescatore, sono quindi state vagliate le posizioni di parte dei 40 imputati ricorrenti avverso le sentenze di primo grado emesse il 26 ottobre 2020 dal gup di Reggio Emilia.
Nello specifico l’indagine condotta dalla Dda di Bologna attiene i presunti illeciti attribuiti alla cosca Grande Aracri e ai propri sodali, perpetrati nell’area emiliana con base a Brescello e non solo. A dover rispondere di associazione mafiosa, tra gli altri, Salvatore Grande Aracri, 42enne figlio di Francesco e fratello di Paolo (entrambi a processo per 416 bis a Reggio in “Grimilde” con rito ordinario), oltreché nipote del boss cutrese Nicolino Grande Aracri. Stessa accusa per l’ex presidente del consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso. Per il 42enne e l’ex politico, il gup Sandro Pecorella aveva disposto in primo grado la pena più pesante: vent’anni. Imputato per mafia anche Albino Caruso, fratello dell’ex amministratore pubblico (12 anni e 10 mesi in primo grado). E poi i reggiani Francesco Muto (classe 1967 di Brescello condannato in primo grado a 11 anni e 2 mesi), Pascal Varano, 34enne di Poviglio (11 anni e 9 mesi) e il 43enne di Reggio Domenico Spagnolo (11 anni). E ancora i parmigiani Giuseppe Strangio e Claudio Bologna (entrambi 11 anni, 8 mesi e 20 giorni). Tre invece i ricorrenti mantovani: Manuel Conte, 30enne viadanese (4 anni e 1 mese), Davide Gaspari, 44 anni condannato a due anni di carcere, e infine Pietro Passafaro, 58 anni anch’egli di Viadana (3 anni e 4 mesi).
Tra le diverse posizioni prese al vaglio ieri dal procuratore generale Lucia Musti e dal pubblico ministero della Dda bolognese Beatrice Ronchi anche quella del già citato Claudio Bologna, attualmente ristretto nella casa circondariale di Tolmezzo e finito alla sbarra tra le altre accuse per una vicenda di truffa ed estorsione in concorso, aggravata dal metodo mafioso, posta tra il 2015 e 2016 ai danni della Riseria Roncaia di Castelbelforte.
Nello specifico dunque, a fronte di una richiesta del difensore di non riconoscere a carico del proprio assistito l’aggravante dell’associazione a delinquere per mancanza di presupposti soggettivi – pur confermando in toto l’impianto accusatorio ex articoli 640 e 629 codice penale – il pm ha di contro ribattuto chiedendo il rigetto dell’impugnata sentenza con relativa conferma della condanna a lui ascritta in primo grado. Prossima udienza il 4 maggio.