Mantova Ingenuo ma anche spaccone. Sognatore, rissoso, maldestro, disilluso. Nella maschera di Charlie Chaplin c’è in filigrana ciò che può ben rappresentare la quintessenza del nostro immaginario contemporaneo, colto con lo sguardo visionario del profeta.
L’insoddisfazione, la ricerca di una vita migliore in un mondo che corre e non aspetta, l’irraggiungibilità dei sogni accompagnata ad una disperata ricerca di afferrarne almeno un lembo, a costo di costruire improbabili castelli di bugie e scuse. Charlot è lui, Charlot siamo noi.
Oggi le sue pellicole occupano il posto dei classici; cortometraggi color seppia in cui i personaggi si muovono in modo veloce e meccanico, macchiette sprovvedute alle prese con amori, risse ed esilaranti malintesi nel pieno ruggire del Secolo Breve.
Lo scorso 11 giugno, in pomeridiana, l’alone magico e inafferrabile del patriarca del cinema è approdato nello scrigno del Teatro Bibiena con “Chapliniana”, una preziosa operazione di rievocazione e rammendo – su pellicole di e con Chaplin quali ”Caught in a cabaret” di Mabel Normand e la struggente “The vagabond” dello stesso Charlot – tra parola e musica curata da Rossella Spinosa e in questi mesi in tour a spasso per la Lombardia.
Con lei, a dare sapore e sostanza al fugace scorrere delle immagini su maxischermo posizionato sul palco, l’Orchestra di Bellagio e del Lago di Como diretta da Aleandro Calcagnile.
Una manciata di archi, alcune percussioni, un pianoforte: bastavano questi ingredienti essenziali a disegnare, con la discrezione e il pudore elevate a scelte poetiche, il perimetro emotivo attraverso cui Spinosa, qui nella duplice veste di pianista e di compositrice, ha immaginato lo specchio continuamente cangiante del teatro chapliniano.
Commenti in estemporanea più che vere e proprie colonne sonore, fili narrativi annodati e snodati, come avvincenti, delicate ragnatele attorno alla vicenda proiettata, pronti a coglierne e ad esaltarne l’incessante altalena di umori.
Un teatro interiore, dunque, sospeso, in cui la parola mancante finiva sulla carta carbone di una partitura esile quanto duttilmente ricettiva nel catturare il sapore di un tempo insieme eterno e lontano, ma anche la genialità di un artista che come nessun altro ha saputo danzare sul filo sottile che è la vita, con il passo leggero della sua grazia.
Applausi scroscianti, limpide risate e un filo di commozione. Da sempre, l’irraggiungibile cifra di Charlot.