RONCOFERRARO Quarantacinque anni dopo, i Cugini di Campagna sono tornati a calcare il palcoscenico mantovano del Jolly Club di Roncoferraro. Era il 1974 e il titolare Corrado Cortellazzi era poco più che un bambino. Venerdì sera, mentre teneva in braccio il figlioletto, ha sicuramente provato un tourbillon di emozioni nel rivedere lo storico gruppo musicale pop italiano dall’outfit luccicante che nel 1973 trovò la consacrazione tra il grande pubblico con “Anima mia”, tornare nella sua discoteca. Nel corso degli anni tanti i componenti che si sono succeduti alle varie postazioni, ma i fratelli Ivano e Silvano Michetti sono rimasti il perno inscalfibile, e ancora oggi insieme agli amici Tiziano Leonardi e Daniel Colangeli girano in lungo e in largo la Penisola facendo ascoltare insieme ad Anima mia e altri pezzi celebri come “Innamorata”, “Un’altra donna”, “Meravigliosamente” e “No tu no”. Nell’intervista esclusiva rilasciata alla Voce – cui i Cugini che hanno improvvisato una dedica cantata – si miscelano in egual modo ricordi, momenti che hanno scandito la strada di una delle band che hanno segnato la storia della musica italiana e che il prossimo anno festeggerà i 50 anni di attività.
Come è iniziato tutto e come avete ottenuto il primo contratto discografico?
«Facendo irruzione in un ristorante dove c’erano grandissimi personaggi del mondo dello spettacolo, come Renzo Arbore, Gianni Boncompagni, Gianni Meccia e Bruno Zambrini. Ci facemmo coraggio e anziché entrare con una chitarra e il piattino in mano, abbiamo cominciato a cantare a cappella “Nella vecchia fattoria” (la filastrocca per bambini, pubblicata su 78 giri nel 1949 dal Quartetto Cetra, ndr). Fu un successo strepitoso, che ci valse il contratto con la Pull e l’invito alla trasmissione Alto gradimento».
Cosa rappresentano “I Cugini di Campagna” per la musica italiana?
«La musica popolare, cantare tutto ciò che fa parte dei gusti della famiglia, nella sua interezza: dai nonni ai nipoti tutti conoscono a cantano “Anima mia».
A proposito dell’involuzione che sta vivendo la musica italiana, oggi tra i giovani va la “Trap” o il rap indigeno: non crede si sia persa la bussola dei contenuti in nome dell’autoesaltazione?
«Eh (Ivano tira un lungo sospiro e allarga le braccia prima di risponderci, ndr)… Oggi si è persa la capacità di scrivere sul pentagramma, ma anche il gusto della melodia e dello stesso ritornello che poteva fare la differenza. Stiamo assistendo ad una preoccupante omologazione al ribasso, sia nei testi che negli stessi look. Gianni Meccia e Bruno Zambrini sostenevano, a ragione, che una canzone centra l’obiettivo quando la gente comincia a canticchiarla sotto doccia, ma la realtà è che i brani di oggi nessuno li ricorderà tra qualche anno. E aggiungo un’altra cosa: le canzoni più belle sono sempre composte con parole semplici, meglio se condite di musica melodica e dolcezza, ingredienti necessari per emozionare».
“Anima mia”, brano pioneristico per le tecnologie dell’epoca caratterizzato dalla grande novità del falsetto, è innegabilmente la canzone a cui avete legato il vostro nome, ma c’è un brano del vostro repertorio che secondo voi avrebbe meritato maggior fortuna?
«”Innamorata”, che comunque è stata ampiamente rivalutata nel tempo».
Perché i cugini di Campagna continuano a restare un’icona?
«Per le caratteristiche proprie del gruppo, che la gente condivide e continua ad apprezzare. E poi curando il rapporto con i fans, che hanno accettato di dividere il nostro senso dell’amore e dei valori».
Matteo Vincenzi