Il fiume Po fotografato da Michael Kenna

GUASTALLA Nell’anno della pandemia Michael Kenna ha realizzato tre progetti editoriali di grande rilievo: Buddha (Prestel Publishing) in cui raccoglie 160 fotografie dedicate alla divinità orientale; l’edizione limitata di 15 fotografie Notre-Dame de Paris (Nazraeli Press), omaggio al monumento francese a seguito del rogo che l’ha funestato; e Il fiume Po (Corsiero editore) che raccoglie 100 fotografie scattate dal 2007 al 2019, dalla sorgente alla foce del maggior fiume italiano.

Caratteristica del grande fotografo inglese è appunto quella si sviluppare i progetti fotografici importanti nel corso di molti anni, per poi approdare alla loro pubblicazione. In questo caso, le prime fotografie del Po risalgono al 2007, quando venne invitato a fotografare il territorio reggiano in vista della grande mostra antologica “Immagini del settimo giorno” a Palazzo Magnani nel 2010.

Da lì è cresciuta nel tempo e si è sviluppata per Michael Kenna una familiarità con il grande fiume e i suoi molteplici paesaggi: “Suppongo che la domanda da porsi sia: come si può non essere colpiti dal grande fiume Po? È potente, bello, carismatico e ha un’attrazione singolare e magnetica. Già durante le mie prime visite speravo che un giorno ci sarei tornato. Quando l’ho fatto nel 2017, mi sono sentito come se stessi familiarizzando di nuovo con un caro, vecchio e saggio amico”.

“Queste fotografie” spiega il fotografo inglese, “sono il riflesso delle mie conversazioni col Po. Spesso paragono la fotografia all’incontro con una persona. Ne incrociamo migliaia, se non milioni, nella nostra vita, ma solo poche di loro rimangono come buoni amici con cui restiamo in contatto ripetutamente. Perché è così? Cosa forma i legami d’amicizia e d’amore? Come fa uno in apparenza estraneo, di un altro Paese — com’è il Po per me — a diventare un caro amico? Succede”.

“Preferisco pensare che le mie fotografie siano più vicine alla poesia che alla prosa, e ripeto spesso che il colore è un po’ troppo specifico, determinato per il mio modo di lavorare. Vediamo tutto a colori. Il bianco e nero, invece, è una riduzione essenziale della stimolazione sensoriale che permette alla nostra immaginazione di attivarsi di più. Il bianco e nero dice precisamente che questa è un’interpretazione, non è un tentativo di copiare ciò che vediamo con i nostri occhi.
Mi piace leggere gli haiku, perché suggeriscono una grande quantità di cose in poche parole. Come queste poesie, non cerco di ritrarre tutti i dettagli di una scena, o di dare una descrizione accurata di ciò che c’è. Preferisco suggerire ciò che non posso vedere, ma che immagino possa esserci: strati sottostanti nascosti nella nebbia e nell’oscurità o nascosti oltre i bordi della cornice.”

La mostra è ospitata nel piano nobile del Palazzo Ducale di Guastalla, già ambientazione di alcune scene di Novecento di Bernardo Bertolucci e, più di recente, della scena del sogno nel film Volevo solo nascondermi di Giorgio Diritti, dedicato al pittore della bassa reggiana Antonio Ligabue.
In mostra, accanto all’intera serie di cento fotografie che compongono il libro pubblicato l’anno scorso da Corsiero editore, una video intervista al fotografo realizzata appositamente per questo progetto.