Nicola De Buono: dai copioni surreali di Dario Fo all’umorismo televisivo di Vianello

Nicola De Buono con Debora Caprioglio
Nicola De Buono con Debora Caprioglio

CERESE Una carriera teatrale straordinaria – dal ’75 al ’99 fu prim’attore a fianco di Dario Fo e Franca Rame – ma anche apparizioni importanti nel cinema e nel mondo della televisione, dove fu a fianco di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini nella fortunatissima sit-com Casa Vianello e di Andrea Roncato nella serie Don Tonino. Nicola De Buono non ha certo bisogno di presentazioni, e nella “sua” Mantova è sempre un piacere rivederlo sul palcoscenico. Artista genuino e sincero (per apprendere le tecniche dell’improvvisazione si fece le ossa anche nei templi del cabaret milanese “Derby club” e “Ca’ bianca”), nei giorni scorsi è stato il protagonista insieme alla collega Debora Caprioglio dello spettacolo “Mi voleva Fo”, andato in scena in piazza Aldo Moro a Cerese. Ad organizzarlo il Comune di Borgo Virgilio in collaborazione con Pro Loco e Compagnia Teatrale “Attori si nasce”. «Diversamente dal libretto “Misteri bluff” – spiega De Buono – dove evidenziavo le contraddizioni tra la vita pubblica e la vita privata di Dario Fo, con questa pièce ho cercato di rendere merito al mio Maestro».

Che tipo di spettacolo ha portato a Cerese?

«Multivalente, sicuramente non fine a sé stesso. Mi piace definirlo la “reinvenzione” di Tristano Martinelli, attore nonché illustre nostro concittadino cui è attribuita la creazione della maschera di Arlecchino, che meriterebbe riconoscimenti a livello nazionale».

Oltre a Dario Fo, quali considera gli altri suoi “maestri”?

«Sicuramente Lamberto Puggelli e Krzysztof Zanussi, con cui perfezionai il mio percorso teatrale, ma non posso dimenticare Raimondo Vianello».

Proprio con lui e Sandra Mondaini prese parte alla sit-com Casa Vianello, com’è stato lavorare con loro?

«Un’esperienza straordinaria. Vianello, se vogliamo, dal punto di vista caratteriale era l’esatto contrario di Fo: più riflessivo e introverso, ma altrettanto geniale. È stato probabilmente l’ultimo attore che sapeva tutte le battute a memoria. Peraltro mi consentiva delle varianti sulle battute, che potevo modificare a mio piacimento».

La ricordiamo anche a fianco di Adriano Celentano che negli anni ’80 spopolava nelle sale cinematografiche.

«Ammetto che è stato divertente. Ne “Il bisbetico domato” azzardai un’idea che inizialmente fece arrabbiare Castellano e Pipolo, ma che alla fine risultò vincente».

Riguarda l’epica partita di basket tra Cantù, di cui lei era presidente, e Rovignano?

«Esatto. Al termine della partita, quando Celentano salì in tribuna per dichiararsi alla Muti, gli suggerii l’utilizzo del microfono, che poi mi passò facendomi fare la figura dell’allocco: nonostante le titubanze dei registi, Celentano mi spalleggiò, e lo sketch risultò perfetto».

Il suo film più importante rimane però “Storie di vita e malavita” di Carlo Lizzani.

«Assolutamente sì. Un film drammatico impreziosito dalle musiche di Ennio Morricone. Il soggetto era tratto da un’inchiesta di Marisa Rusconi. Fosse stata una pellicola americana sarebbe stata pluripremiata».

Matteo Vincenzi