Pamela Villoresi, parole e musica su Eleonora Duse ”Una donna coraggiosa”

MANTOVA Domani alle ore 20.45 l’Auditorium Monteverdi di via Conciliazione ospiterà per Società della Musica uno spettacolo molto particolare, dedicato alla memoria della grande Eleonora Duse in un dialogo tra musica e parola. “La musica dell’anima – Ritratto di Eleonora Duse tra le note della sua epoca” sarà un viaggio nel tempo e nell’arte, in cui saremo condotti dall’attrice Pamela Villoresi, accompagnata al pianoforte dal M° Marco Scolastra.
Questo spettacolo si presenta come un intreccio tra parola, gesto teatrale e musica: si può forse intravedere nella figura di Eleonora Duse un richiamo alla wagneriana opera d’arte totale?
“In effetti Eleonora Duse parlava molto di Wagner, affermando che egli “con la sua musica mi conduce sul bordo di abissi sui quali è molto difficile con la sola parola planare”. Dunque aveva coscienza del fatto che la recitazione ha molte più difficoltà di arrivare direttamente al cuore della gente, rispetto alla musica. Credo pertanto che uno spettacolo che parli di lei, che parta dal suo diario, sia assolutamente appropriato se strutturato in relazione ai suoi pezzi dell’anima, che l’hanno accompagnata tutta la vita, da Rossini dell’infanzia, a Beethoven di cui si portava sempre un busto nelle camere d’albergo, a Chopin, a Boito che è stato il suo amante e Wagner che ha conosciuto – per finire proprio con autori assolutamente più contemporanei come Gershwin e Cage, cosa che dimostra quanto Eleonora sia stata una donna con una visione volta sempre verso il futuro”.

Questo viaggio ci porta oltreoceano, partendo da Rossini e Luciano De Crescenzo per arrivare a Gershwin e John Cage, passando per la Russia di Prokofiev. Come riesce la parola teatrale a travalicare i confini linguistici, “ostacolo” da cui la musica è in un certo senso esente?
“Ero presente quando Giorgio Strehler e Jack Lang fondarono l’Unione dei Teatri Europei e per 20 anni della mia carriera ho recitato in tutti i festival internazionali. In conseguenza di ciò devo dire che è vero, la lingua può essere un ostacolo, tuttavia nei festival non abbiamo mai avuto problemi, per non parlare del fatto che oggi si ricorre alla soluzione dei sovratitoli con la traduzione simultanea. Però Strehler non li voleva, oltretutto portavamo all’estero testi come “Baruffe chiozzotte”, in veneziano antico – che già in Italia faticavano a capire; c’era una sinossi cartacea che il pubblico poteva consultare prima dello spettacolo, in più notavamo un’attenzione ai movimenti, agli sguardi, che qualche volta tornando in Italia non ritrovavamo: ci sembrava che il pubblico non fosse così particolarmente attento, perché assorbito dalla sola parola. Recitare in paesi dove il pubblico non capisce la lingua che viene parlata sul palcoscenico è sempre una bella avventura. Detto questo, la lingua era un ostacolo che la Duse aveva assolutamente rimosso, in quanto lei recitò in tutta Europa, ma soprattutto in tutta America, sia nell’America del Nord che nell’America del Sud – altro che Teatri d’Europa, lei ha fatto i Teatri del Mondo! Inoltre teneva moltissimo alla lingua delle opere che recitava: imparò il francese e lesse in originale il testo che Dumas aveva scritto per lei proprio perché non voleva perdere nessuna sfumatura della sua scrittura”.

In che misura la figura di Eleonora Duse è attuale, nella realtà teatrale odierna?
“Eleonora è stata una grandissima apripista, tutte noi donne le dobbiamo molto, noi attrici in particolare. Innanzitutto, ad esempio, ha pagato sulla propria pelle la sua libertà: ha partorito fuori dal matrimonio e ha dovuto abbandonare suo figlio alla balia, in un’epoca in cui c’erano addirittura le frustate in piazza per le madri nubili; bisognava lasciare il bambino in orfanotrofio e lavorarvi due anni allattando però altri bambini e non il proprio. Forse malnutrito dalla balia, dopo poche settimane il suo bambino morì, evento che devastò la sua vita. Ma andò avanti e fu capocomica per la sua compagnia, regista e prima attrice, riuscendo a sfondare sui mercati mondiali. Non solo, ma quando lei si innamorò di D’Annunzio – e a differenza di quanto si pensi lei era più vecchia e molto più famosa – insieme concepirono il sogno di creare un nuovo teatro di poesia. E lei finanziò lui arricchendo la Capponcina, villa dove lui modestamente si era ritirato, con mobili del ‘400, uno stuolo di servitori, cavalli da corsa, una muta di cani ecc. Eleonora faceva le tournée internazionali per finanziare D’Annunzio e ci riuscì, così che insieme loro poterono ricreare un teatro di poesia. Poi lei lo lasciò. Eleonora Duse fu una donna che ottenne ciò che aveva deciso di perseguire, non abbandonando mai il suo lavoro, oltretutto mettendosi a capo delle cose che faceva. Non solo, ma in un periodo in cui la recitazione premiava i tromboni e chi si aggrappava alle tende, lei fu una delle prime che propose quella che oggi chiameremmo “recitazione cinematografica”. Diceva “tanto più il sentimento è forte, tanto più io abbasso la voce”, andava in zone assolutamente intime, tant’è vero che quando giunse in America Strasberg le si mise in ginocchio e le baciò le mani dicendo che lei aveva aperto la strada alla recitazione del futuro. La figura di Eleonora Duse è assolutamente attuale perché grazie a lei il mondo ha cambiato il suo modo di esprimersi sulla scena”.