Calcio Serie D – Cuffa: “Mantova, resta sul pezzo”

Matias Cuffa
Matias Cuffa

MANTOVA Da quasi 20 anni in Italia («ma mi sento sempre argentino!», puntualizza),  Matias Cuffa a Mantova ha visto cambiare ruolo tre volte in una stagione e mezzo: prima calciatore, poi allenatore della Juniores, infine tecnico (assieme a Garzon) della prima squadra dopo l’esonero di Brando. Ma non è tipo da autocelebrazioni: umiltà e sacrificio sono parole chiave che ritornano spesso nel suo frasario. È stato così anche nella sua lunga carriera da calciatore, che in Italia l’ha visto indossare ben 16 maglie diverse: Monselice, Castellaneta, Isernia, Sangiovannese, Tivoli, Gela, Pisa, Foggia, Catanzaro, Portogruaro, Padova (150 partite in B), Matera, San Marino, Viterbese, Rieti e Mantova. In queste settimane, con gli altri componenti dello staff biancorosso, il quasi 39enne Matias (compirà gli anni martedì) si trova a gestire una fase a dir poco complicata.
 A livello personale, come stai vivendo questi giorni?
«Sono tranquillo. Non essendo competente in materia, non posso che affidarmi agli specialisti. Osservo le precauzioni indicate dai medici, ma la mia vita non è cambiata. È un po’ cambiata quella di mio figlio Simone, che non può andare a scuola e nemmeno ad allenarsi. Risultato: è sempre al parco e un po’ si annoia».
 Non ti era mai capitato di vivere un’emergenza simile in Argentina?
«Mai, è la prima volta. E spero anche l’ultima».
 Passando al campo, è difficile tenere alta la tensione della squadra?
«Per un calciatore non è semplice. Quando ti alleni in settimana, lo fai in funzione della partita domenicale. Nel nostro caso, viene a mancare l’adrenalina. Ma qui devo elogiare i ragazzi».
 Prego…
«Stanno lavorando nel miglior modo possibile, con grande intensità. Come professionisti. Fa piacere vederli così».
 Se non altro, la lunga sosta vi ha consentito di recuperare gli infortuni…
«Questo è il lato positivo. Abbiamo cercato di portare tutti allo stesso livello, così da ripartire nelle migliori condizioni».
 È stato giusto sospendere il campionato o avresti preferito giocare a porte chiuse?
«Mi spiace che lo stop sia arrivato dopo la sconfitta col Franciacorta. Per il resto, come dicevo prima, accetto le decisioni di che ne sa più di me. Peccato solo per il pubblico, che è una componente fondamentale per il calcio: i tifosi ci mettono anima e cuore, senza di loro non è la stessa cosa».
 Che impatto avrà questa lunga sosta sulle 10 partite che rimangono?
«Per quanto ci riguarda, dobbiamo ripartire con la stessa mentalità di prima, pensando a una partita alla volta e a come vincerla. A fare la differenza, come sempre, saranno la forza del gruppo, l’umiltà, il sacrificio».
 Come stai vivendo l’esperienza di allenatore?
«Bene. Ma lasciami ringraziare tutti i componenti dello staff: il nostro è un lavoro globale, fatto di confronti continui, dal lunedì al lunedì, per migliorarci».
 Due allenatori possono pestarsi i piedi. Con Garzon, invece, sembrate complementari…
«Alla base c’è il rispetto reciproco. Con Gianluca si lavora bene. Ma poi ci sono gli altri componenti dello staff: il “prof”, Lazzari, Infanti, il direttore, il fisioterapista… Come dicevo, è con questo lavoro di insieme che vogliamo raggiungere l’obiettivo».
 Insomma, da grande hai deciso di fare l’allenatore…
«Mi piace. Ce la sto mettendo tutta, con la stessa umiltà e sacrificio che mettevo in campo quando giocavo. Proverò a seguire questa strada».