Il post di Giacomo Cecchin sui metodi per riconoscere il vero mantovano, con avvertenza di trattamento altamente ironico, mi ha fatto ricordare le traversate per le piazze di Mantova, nei primi anni Ottanta, con personaggi più o meno famosi e con colleghi giornalisti che passavano da Mantova per addestrarsi e per fare i giornalisti nel più antico quotidiano d’Italia. Istruttive e memorabili quelle passeggiate post prandiali, -nel senso di dopo pranzo e qui il post non sta per postare ma per dopo, evidentemente, – con Enrico Tantucci che veniva da Roma e che poi andò alla Nuova Venezia, con Giorgio Gasco che veniva da Torino e che poi andò al Gazzettino di Venezia, con Marco Gandini di Mantova di corso Umberto, e con l’amico di lungo corso e compagno di scrivania Stefano Scansani, che veniva da Poggio Rusco. Ci accompagnavamo a volte con il dottor Gastone Negrini, che era il direttore amministrativo e con il mitico e sempre indaffarato direttore della agenzia di pubblicità Silvano Molè, per tutti noi Silvio. Una bella combriccola. Pizza o bistecca, panino o una pasta e poi quel tour un po’ post-socratico e un po’ par bagolar, la famosa chiacchiera libera, e un po’ per digerire. Eccoci in piazza Felice Cavallotti, un felice punto strategico, uno snodo. Angolo via Arrivabene, di fianco al Sociale per darsi appuntamento e poi via per scelta o per necessità. Tra l’una e le due del pomeriggio il centro di Mantova si svuotava e giravamo solo noi come testimoni, più o meno consapevoli, del passar delle ore e delle stagioni. Come quella stagione intensa dei big e della televisione, quando in queste piazze e in queste vie erano di casa attrici e attori, registi e sceneggiatori, critici e manager dello spettacolo e del cinema, capitani d’industria e ammiragli in congedo. Epocale quel giorno dell’epocale 1982 quando mantovani e non mantovani si radunarono per assistere all’anteprima di Delitto di Stato miniserie per Rai2 di Maria Bellonci che a Mantova si può dire era culturalmente di casa, con nomi tipo Sergio Fantoni, Eleonora Brigliadori, Luca Giordana, il Paride Maffei, e tutto sembrava un set, ma tutto era tutta Mantova, vera e pronta a tutto. Piazza Cavallotti come Cinecittà, ma anche piazza Castello e piazza Sordello e financo piazza Purgo, ora Marconi, viva Marconi. Eh, le mie piazze di Mantova nel ricordo di quei giorni e di quegli anni bellonciani. Conoscemmo lì Anna Maria Rimoaldi, matematica appassionata di stria e sceneggiatura, che noi conoscevamo come l’assistente di Maria Bellonci. Ma era molto, ma molto, di più. Un giorno le chiesero di sceneggiare la vita di Isabella d’Este, su cui si ritrovò a lavorare assieme alla Bellonci per sette anni e finendo, dopo la morte della madre, per andare ad abitare da lei. Inizia allora il suo rapporto anche con il Premio Strega, che in quella casa si realizzava ogni anno, dal 1947. Si può dire che ogni piazza di Mantova, anni Ottanta, era un set e ad ogni angolo c’era una scena da film. Ducale e Castello, dai Gonzaga al Manzoni, nel senso di Alessandro, quando si fecero i nuovi Promessi sposi, passando per varie altre produzioni. In quegli anni ci piaceva passare da piazza Canossa, che ci sembrava epicentro cittadino e quasi terrazzo verso via Cavour e dall’altra parte giù verso Arrivabene e Fratelli Bandiera, la nostra strada, il nostro quartier generale. Qui una panchina per ammirare le facciate della storia ci starebbe bene, accanto alla storica edicola dei giornali, costruita a fine Ottocento e che fa tanto inizio Novecento col suo inconfondibile stile neogotico. La panchina e l’edicola del racconto mantovano. Andavamo per piazze del centro alla scoperta di particolari architettonici e piccoli grandi ricordi personali. E quella volta in piazza D’Arco a parlar dei tortelli del Tano, il Martini del mitico ristorante omonimo, ma anche l’attesa in piazza D’Arco per andare al teatrino del Palazzo D’Arco a seguire qualche opera rappresentata dalla “Campogalliani”; ma anche e in forma più prosaica girar per piazza D’Arco a cercar un posto per l’automobile quando si poteva e si doveva, accessi e ascessi di traffico permettendo. Beh, e piazza Virgiliana. Quella piazza rispetto al nostro quartier generale fratelli-bandieresco era un po’ lontana e mica ci passavi da un servizio all’altro però era sempre in cima alle nostre attenzioni di cronisti cittadini su spinta e indicazione anche dei lettori che erano i primi collaboratori della nostre pagine. Lettere e telefonate: una pianta malmessa, pozzanghere grandi, una lite sotto il monumento di Virgilio e poi quel primo d’aprile storico e comico: hanno rubato la statua di Virgilio. Ovviamente era uno scherzo fotografico.
La nostra piazza più prossima piazza al quartier generale di Fratelli Bandiera era ovviamente piazza San Francesco. Vi è da convenire, – ma come scrivi Binak?! – quindi meglio: c’è da dire che in quegli anni, tra la fine sei Settanta e la metà degli Ottanta, molte riunioni di redazione si facevano praticamente in piazza San Francesco senza essere convocate, ma erano spontanee e automatiche. Capitava di andare a prendere un caffè al bar dell’angolo oppure in quello dall’altro lato, verso la stazione, e da due o tre che eravamo, diventavamo sei o sette colleghi e intanto si pianificava l’attenzione per i fatti e i misfatti del giorno. Arrivavamo con Carlo Accordi e Stefano Scansani poi si aggiungeva Andrea Moglia e Sandro Mortari, poi passava il Rino, ovviamente Bulbarelli, che sempre ovviamente ci indicava uno o due fatti che aveva appena saputo, e poi incrociavamo Cesare De Agostini che stava lì accanto, rientrando il Werther Gorni davanti all’edicola ci avvertiva delle ultimissime e Davide Gorni, puntuale e preciso, che rientrava dal giro della nera aggiornava incidenti e arresti. Era così naturale fare un giornale in piazza che tutto sembrava programmato da un armonico destino. Era la magia di piazza San Francesco, una delle “mie piazze” di Mantova da giovane, così storica così unica anche se adesso le riunioni di redazione non si fanno più. E non c’è più manco l’edicola.