Come quella volta, solcando i sassi di piazza Sordello, dove non c’erano muri e muretti, ma tutto era libero e profondo. Come il nostro sguardo, quello di Carlo e il mio. Uscivamo dal Palazzo, il Ducale, anzi dal Castello, eravamo reduci dalla Sala di Manto. Una cerimonia, una presentazione, una roba forse anche lunga e Carlo si lamentava della possibile anchilosi. Fisica e mentale. Perché certe cose durano più del dovuto? Se hai parole per dieci minuti perché devi occuparne venti? Che parole saranno quelle dei dieci minuti in più? Si parla anche con il silenzio, a volte di più. Grande tema, il silenzio. Torniamo a quella volta. Un novembre col sole raggiato nella leggera nebbia mantovana e il silenzio della piazza tra porticato e tavolini, e l’immaginarsi a Corte. Due belle sensazioni: il silenzio e l’immaginazione.
Che anni, quegli anni. Quell’altra volta eravamo reduci dalla rappresentazione iconica e televisiva di Delitto di Stato dal romanzo di Maria Bellonci. Brividi. I ricordi intensi provocano brividi, i luoghi del cuore che scatenano quei ricordi sono brividi, alla seconda. Soprattutto nel silenzio del tempo che ritorna ma che è passato. Come quel giorno del 1982 al Teatro Sociale l’anteprima di Delitto di Stato film per la Rai, girato nelle sale del Ducale e della Reggia, con la regia di Gianfranco De Bosio, tratto dal libro di Maria Bellonci, “Tu vipera gentile”. Brivido anche per il primo “nudo” (quello di Fantoni) della tv tra Ducale e Sociale, ma non ci fu naturalmente scandalo. C’eravamo tutti: attori e regista, sindaco e politici, giornalisti e artisti vari, cittadini di tutte le classi e curiosi di tutte le età. Che giorno quel giorno a Mantova Capitale della fiction storica per quel periodo. 1982, anno magico. Il sindaco Gianni Usvardi si intratteneva con Sergio Fantoni, il protagonista del racconto, che ovviamente teneva segreta la scena del “nudo” che da lì a poco si sarebbe vista. Nudo gonzaghesco. Ci scherzava l’altro Sergio, omonimo del Fantoni, ma con attinenza culturale e turistica mantovana e cioè il presidente dell’Azienda del Turismo e poi sindaco egli stesso, Sergio Genovesi, di mestiere avvocato.
Silenzio e immaginazione al Sociale e nel foyer, che di solito è rumoroso e affollato, immaginate piazza Cavallotti e corso Umberto, tra il brusio e la sana chiacchiera, immaginate poi i capannelli in piazza Marconi, già Purgo, che fascino il nome Purgo, e alle Erbe per parlare di Sala di Manto piena di eleganti signore e compassati signori alla prima-anteprima di Delitto di Stato, con Maria Bellonci e Andrea Giordana, con Eleonora Brigliadori e Sergio Fantoni tra flash di fotografi e interviste della televisione. Eh, signore e signori non c’era internet, non c’erano i telefonini, si andava di carta e penna, si andava di registratore con le cassettine e di macchine fotografiche con tanto di rullino, si andava di bianco e nero e semmai di qualche sfumatura di grigio. Che poi a ben pensarci, lasciando fare il loro mestiere ai benpensanti, certe fotografie in bianco e nero risultavano più colorate di certe fotografie colorate e fin troppo sgargianti di ora. La storia fece successo, gli attori erano interpreti gonzagheschi perfetti di faccia e portamento.
Ascoltavamo in silenzio. Ricordo che Carlo era interessato come cronista ma, tutti noi che lo abbiamo conosciuto sappiamo di cosa stiamo parlando, il suo cuore batteva più per la cronaca viva e contemporanea e per la giudiziaria del momento che per le vicende di trecento anni prima. Ad un certo punto della proiezione mi disse: “Sperema c’la fnesa prest si no as vé l’anchilosi”.
Tradotto dal pratico dialetto mantovano: ”Speriamo che finisca presto sennò ci viene l’anchilosi”. “Pudèma mia armagnar blucà, chè”. La trama della Bellonci è coinvolgente, anni della guerra del Monferrato e l’epidemia di peste dei primi anni del Seicento. Il consigliere e storico di corte conte Tommaso Striggi che stende sotto forma di confessione i fatti che portarono all’uccisione di Ferrandino, buffone di Corte. Rimpianti, amarezze, sensi di colpa e colpi di scena. Potere e sospetti, morti e complotti: niente di nuovo tutto di storico, tutto attuale, forse attualissimo. Brividi di luoghi calpestando i sassi di piazza Sordello, dal portico del Ducale al portone di Palazzo Bonacolsi e ti sembra di camminare nel quadro della Cacciata dei Bonacolsi, qui tra queste vie e queste pietre ti sembra di camminare nella storia e il bello o il brutto è che, noi che lo facciamo come a casa, non ci facciamo caso. Immaginarsi a Corte. Penso al brivido che debbono provare gli abitanti e i frequentanti di Palazzo Bonacolsi che varcano il portone che varcò Passerino prima di cadere vittima della casata dei Gonzaga, alle spade e alle lance che si saranno incrociate qui davanti dove adesso signore ingioiellate o giovani dabbene sorseggiano il prelibato aperitivo, neanche immaginando chi si cimentava sullo stesso terreno, quella volta. Carlo ed io attraversavamo piazza Sordello in diagonale, di traverso, e di traverso si guardavano in silenzio i legati e i delegati delle famiglie che su quella piazza si contendevano. E chissà come si stava nella gabbia esposti al pubblico ludibrio della Torre della Gabbia che si erge sul voltone che introduce alla piazza dal corso. E forse Isabella che osservava da una finestra, finita in un fumetto: tutto serve per rivivere con i brividi pezzi di storia del nostro passato e del nostro futuro. Dai fumetti del Ducale ai ricordi del Sociale riviviamo immagini di finestroni chiusi e spie in azione, di messeri gentili pronti a leggere epistole, e poi ancora missive riservate, missioni pubbliche e pubblicate in un vortice di messaggi e massaggi segreti. Archi e affreschi da brividi, Andrea Mantegna è un richiamo, i Gonzaga sono un cult: ma attenzione non dobbiamo imprigionare le nostre città negli schemi dei luoghi comuni dell’arte e della storia. Grazie ai Gonzaga e poi ci sono anche i Martiri di Belfiore, grazie a Mantegna e a Giulio Romano poi c’è l’arte di Antonio Ruggero Giorgi e Alessandro Dal Prato, e i musei della cultura contadina. La ricchezza è nella complessità, dobbiamo divulgare e ringraziare anche le arti e i mestieri, le innovazioni anche fuori dalle tradizioni. Ascoltando il silenzio messaggi dal mondo e dall’universo.
Mantova e il Ducale, il borgo vicino al lago e le stradine dei Gonzaga e i vicoli dei Bonacolsi sono entrati nei teleromanzi che hanno fatto epoca negli anni Ottanta come i “Promessi Sposi” di Salvatore Nocita. In che cosa facciamo epoca, oggi? Tanti silenzi, storici e rinascime