E c’era la bella del Luna Park. Sogni colorati alla Millenaria

MANTOVA Anzi Gonzaga. Anzi, i viali e i prati e gli stand della Fiera Millenaria. Anzi la gente che vi affluiva e vi affluisce. Anzi i politici e i tecnici che qui sono venuti a raccontare e analizzare anni, decenni di tradizioni e innovazioni agricole e zootecniche. E la folla. La folla di visitatori che da mattina a notte viene a curiosare e guardare, ad assaggiare tortelli e panini ad applaudire spettacoli e personaggi. E allora, ai tempi, c’era la bella del Luna Park, il concorso che eleggeva la ragazza più bella della Fiera tra le luci del Luna Park. Un carosello di colori che facevano la differenza nel parco della rassegna in quegli anni, gli anni Cinquanta e Sessanta, gli anni della ricostruzione e della ripresa, gli anni delle riforme e del boom economico e anche alimentare. Me lo diceva un grande cantore e organizzatore poetico della Millenaria, il maestro Gilberto Boschesi, al quale ho dedicato un racconto nel viaggio dei Piccoli segreti mantovani, Oligo Editore. Andare alla fiera era ed è un evento. Allora anche una tradizione di famiglia. “Sèt andà a la Féra?” “Agh vagh adman” . “Sei andato alla Fiera?” “Ci vado domani”. Un comandamento della Bassa, come andare ad un rito. La Fiera decantata e raccontata in televisione e sui grandi settimanali popolari proprio anni Cinquanta e Sessanta per la capacità di mettere insieme tecnica e scienza, spettacoli popolari e richiami di folklore. Nel colore e nel sapore della genuinità. Lui, Boschesi, non era solo un maestro di scuola, non era solo un giornalista e scrittore popolare, corrispondente storico della Gazzetta da Gonzaga, ma era un continuo fuoco d’artificio tra creatività e attrazione popolare, raccontatore di favole e interprete di sogni, sognatore di cieli infiniti e di luci del luna park che si accendevano a Gonzaga sulla bella del Luna Park, un concorso che portò la Fiera sulle pagine dei settimanali più importanti degli anni ruggenti e nella televisione in bianco e nero. Miracoli di telecamere e inviati speciali, di Tortora e Bongiorno, di Maria Grazia Fringuellini che apriva porte verso i giornaloni di Roma e di Milano, e Fiorella Marino, e poi gli inviati della televisione di Stato per i telegiornali e per gli speciali. Fin dagli Anni 50, gli organizzatori gonzaghesi erano impegnati ad arricchire il programma e quindi la visibilità nazionale. L’idea di Gilberto Boschesi, maturata nel 1962 sul filone di Miss Italia e guardando a giostre e tirassegni che ogni anno arrivavano, era di eleggere la Bella del Luna Park, sotto il tendone di un circo. «Siamo partiti subito alti – racconta Arrigo Davoli, tra i depositari della storia gonzaghese – riuscendo ad avere Enzo Tortora a presentare nel 1962 la prima edizione. Era già nel pieno successo, dopo Telematch, Campanile sera e la radio. Le serate e l’atmosfera della Millenaria gli erano piaciute tanto da voler tornare negli anni successivi, non solo per presentare. E c’è una scheda con foto in Lombardia Beni Culturali dedicata proprio ad una partecipante del concorso, scattata dal mitico Luigi Barlera proprio 50 anni fa nel 1973. “Lo scatto ritrae Barbara Viotto, “Bella del Luna Park 1973”. Inquadrata in piano medio, la giovane concorrente porta la fascia della vittoria. Una piccola scimmia è appollaiata sulla sua spalla destra”. A dimostrazione del fatto che quelle esperienze sono diventate beni culturali del Paese. Anni ruggenti della Fiera Millenaria, che Boschesi e Baricca, e Cavazzoli e Cavana vivevano come un dovere e un piacere, la celebrazione della proiezione di Gonzaga e dell’agricoltura padana nel mondo.

Per questo Boschesi diceva che la Fiera ruggiva. Cioè si faceva sentire, si udiva il ruggito della forza e della potenza di una manifestazione che valicava e travalica tuttora confini geografici e piani economici, settori merceologici e affari agricoli.

Può ruggire una fiera? Oh sì che può ruggire. Se poi la Fiera è la Millenaria di Gonzaga, che si faceva e si fa a Gonzaga, confine con la provincia di Reggio nell’Emilia, rassegna di rilevanza e popolarità interregionale se non nazionale ed europea, beh qui ci sta tutta la storia di un mito e di una grade avventura. Ho vissuto quegli anni in una dimensione quasi epica, ci sono sempre gli anni più epici degli altri, con un fondatore e animatore della grande mitica rassegna gonzaghese e gonzaghesca: il maestro Gilberto Boschesi. Venivano a Gonzaga inviati dalla tv e dalla radio per fare il servizio annuale sulle luci e le novità della Fiera Millenaria di Gonzaga, terra agricola di latte e di formaggio, di carne bovina e di carne suina, ma anche richiamo di colore e di folklore, di vita contadina raccontata con ardore e di innovazione agricola provata e sperimentata. Eccolo il segreto millenario della Millenaria per anni e anni: mettere insieme ricordi e futuro, civiltà agricola e innovazione tecnologica, sentimento e mercato, assortimento e raccoglimento. Arrivavo al mattino presto nella prima settimana di settembre a cavallo del giorno 8 settembre negli uffici che ancora erano dislocati nel palazzo ex Convento con quel chiostro che era la piazza degli incontri: c’erano loro i padri della Fiera di Gonzaga, di quegli anni Ottanta, consiglieri e presidenti, rappresentanti di tutte le aree culturali e ideali del territorio, comunisti e socialisti, democristiani e socialdemocratici, liberali d’animo e cooperatori di passione: il sindaco Baricca, il presidente Cavazzoli, il consigliere Cavana, il consigliere e gran suggeritore creativo Boschesi, Gilberto per tutti, con conoscenze nel mondo dello spettacolo, del giornalismo, della radio della televisione, che facevano miracoli in questa fetta della Bassa Mantovana al confine con l’Emilia reggiana. Al secondo giorno di Fiera che di solito combaciava con la prima domenica di quella settimana di festa che chiude l’estate calorosa c’era l’inaugurazione con ministri e assessori, sindaci e presidenti, capi di associazioni e direttori generali, perché cavolo -e pure barbabietole!- questa era e lo è stata per tanto tempo la più frequentata vetrina del mondo agricolo e alimentare italiano. Non a caso Gilberto Boschesi, cantore interno ed esterno di quelle gesta e di quella orchestrazione collettiva, mi accoglieva, giovane cronista, con gli occhi lucidi di contentezza e sprigionanti voglia di raccontare, con l’espressione: “Et leo rugit”. E il leone ruggì. Eh sì, questa fiera, agli occhi e alle orecchie del mondo non solo agricolo, era un leone e tutti gli anni a settembre ruggiva faceva, sentire il suo verso di forza e di amore per la terra, per i contadini, per le razdore, per gli allevatori, per gli animali per le sementi, per i trattori, per le ranghinatrici. Ah che spettacolo vedere il maestro Gilberto Boschesi uomo di carattere e di statura, osservare i padiglioni e le macchine, i visitatori e le artiste, e vederlo contento nelle pupille più profonde col respiro che gli veniva dal cuore. “E il leone ruggì, caro Gilberto”, gli dicevo. E prendeva la bicicletta Gilberto e girava per i viali, riconosceva e salutava amici e conoscenti, allargava le braccia si fermava a raccontare di quando venne quel personaggio dall’estero e tutta la Fiera si fermò.