La svolta: palazzo Te passa di mano alla Fondazione

MANTOVA – Un passaggio storico si è consumato l’altra sera in consiglio comunale con il passaggio di competenze gestionali dal Comune alla Fondazione Te, che avrà in carico tutte le operazioni programmatiche e organizzative di Palazzo Te. Si passa in sostanza da una conduzione comunale a una più manageriale nelle mani dell’organismo direttivo della fondazione, di cui pure il Comune continuerà a far parte. Ma per chiarire meglio natura e finalità dell’operazione abbiamo sentito il direttore della Fondazione Stefano Baia Curioni, milanese, storico dell’economia e docente al dipartimento di scienze politiche della Bocconi.
Direttore, inevitabile chiederle cosa è cambiato a Palazzo Te dal suo arrivo sette anni fa. Può dirlo in massima sintesi?
«Credo che il cambiamento più rilevante consista nell’avvio di una riflessione comune, condivisa con il settore cultura del Comune, sul ruolo del patrimonio e di Palazzo Te nella relazione con la comunità mantovana nelle sue diverse caratterizzazioni. In fondo un esperimento di messa a terra delle visioni espresse nella Convenzione di Faro. Nella pratica questo ha implicato un elaborato sistema di alleanze con altri istituti museali del territorio, con oltre 40 associazioni e produttori di cultura, la crescita delle produzioni di Palazzo Te da meno di 10 a oltre 100 l’anno, la produzione diretta di mostre in alleanza con alcune tra le principali istituzioni museali del mondo, la nascita della Scuola di Palazzo Te, l’avvio delle collaborazioni con l’Ast e il terzo settore, la nascita dello Spazio Te e della Supercard Cultura. Per citare solo le principali».
Sembrava finita l’epoca delle grandi mostre molto dispendiose, invece se ne organizzano ancora e di vasto richiamo. Proseguirà su questa linea?
«Il dibattito non può essere polarizzato tra “grandi mostre” o “niente mostre”. Una definizione quantitativa di grande mostra basata sul numero di opere esposte o di visitatori è inaccettabile e direi primitiva. Occorre fare le mostre che sono “necessarie” per ragioni scientifiche, divulgative, educative, per il loro apporto a strategie di comunicazione e di attrattività. E occorre che siano sostenibili, ovvero tarate sul pubblico che ci si può attendere, senza indulgere a proiezioni fantasiose o egotismi o, peggio, a scorciatoie incapaci di esprimere poesia e cultura».
Si percepisce un’attenzione per le mostre “a tema”, filologicamente ben costruite, ma quasi sempre legate all’antico. Pensa che anche il Te possa ospitare rassegne dall’Impressionismo a oggi?
«Il punto fondamentale è che il passato “è” necessariamente sempre parte di una esperienza culturale contemporanea. Nella costruzione di tale esperienza è possibile attingere a diverse fonti visive e poetiche, contemporanee e risalenti, si è lavorato su Tacita Dean, Brian Eno, Gerhard Richter, Stefano Arienti, Virgilio Sieni e molti, molti altri. Ovviamente si continuerà».
Come vede il passaggio storico, tentato da decenni, ora giunto a compimento, di affidare alla Fondazione la piena gestione del palazzo Te?
«Una gestione univoca del palazzo è semplicemente inevitabile e necessaria, per ovvi motivi di coordinamento e di esperienza. Esisteva l’alternativa di chiudere il Centro internazionale d’arte e di cultura di Palazzo Te e affidare tutto alla struttura pubblica, si è scelto di tentare la via di una formula pubblico-privata, i risultati ottenuti in questi anni hanno dato fiducia e siamo onorati della scelta finale».
Cosa cambierà nel concreto? Crede che con questa autonomia gestionale si renderà più facile coinvolgere soci privati?
«Palazzo Te è splendido e fragile, sono molte le cose da fare, anche quelle urgenti. Quanto più i privati lo considereranno una rilevante risorsa per il territorio e per le loro politiche quanto più si potrà fare per renderlo una realtà europea».
Ha già qualche nome in mente? E fra i potenziali soci, ce ne sono di mantovani?
«Occorre allargare il coinvolgimento locale ma anche cercare sulla scala globale, Mantova lo merita».
Servirà comunque un “paracadute” economico dell’ente pubblico alla Fondazione?
«Se non accadono eventi catastrofici, nulla di più rispetto a quanto indicato nel piano allegato al contratto di concessione».​
Uno dei problemi storici del turismo locale è l’estate, che normalmente è data come “bassa stagione”. Ha idee per invertire la rotta?
«Il nemico estivo di Mantova è il caldo… Non credo ci si possa aspettare una sua riduzione. L’obiettivo è portare un turismo lento, di alto livello culturale e di reddito negli otto/nove mesi in cui la città è straordinaria».
Ha pensato a mostre brevi di un solo dipinto, come se ne fanno altrove?
«Sì, quando serve, se serve».
Un’anticipazione: su cosa state lavorando attualmente pensando al dopo-Rubens?
«La concessione del Palazzo porterà con sé molti cambiamenti, ciò che sta accadendo intorno a noi sul piano tecnologico, climatico, culturale e identitario impone drammatici cambiamenti, quindi interrogheremo il tema della metamorfosi, lasciandoci ispirare per qualche mese da artisti, studiosi, filosofi che hanno approfondito e rappresentato il senso del cambiamento contemporaneo».