MANTOVA – Da ieri il semaforo in Lombardia è tornato di nuovo giallo con buona pace dei ristoratori ed esercenti dei bar mantovani che possono finalmente tornare a servire ai tavoli, purché all’aperto e tassativamente entro le ore 10 di sera.
C’è chi manifesta una certa soddisfazione, seppur velata, per questa nuova riapertura e chi invece, come Stefano Solci, non può non esprimere ancora una volta un diffuso senso di insoddisfazione per come le cose vengono gestite dall’alto. «In qualità di titolare della Masseria e vice-presidente di Confesercenti mi dichiaro profondamente insoddisfatto perché ritengo non ci si possa più accontentare dell’ “intanto riapriamo”. Riaprire un esercizio non equivale ad accendere l’interruttore di una stanza – spiega Solci -. Significa piuttosto investire migliaia e migliaia di euro a livello organizzativo, di scorte di magazzino e di preparazione generale. Si tratta di un investimento molto importante che non verrà ripagato di certo in modo proporzionale. Per noi queste sono briciole di cui non ci possiamo accontentare e che, anzi, paiono quasi come una mancanza di rispetto nei nostri confronti». Solci parla inoltre di «ristoranti di serie B» alludendo a quelle attività che, non disponendo di plateatico, devono per forza rimanere chiuse o, al massimo, continuare col servizio da asporto, posto che l’avessero già approntato nei mesi precedenti. «Trovo sia davvero agghiacciante il fatto di veder lavorare i colleghi ristoratori, mentre non si può aprire il proprio locale perché mancante di spazio all’aperto». Altra nota dolente è legata al coprifuoco da rispettare. «A differenza del passato, dove il coprifuoco veniva considerato come una fascia oraria orientativa di rientro, ora, alle 22, ci si aspetta che il cliente sia già presso la propria abitazione, costringendolo quindi a lasciare il locale alle nove se questi viene da lontano. Insomma – conclude il titolare della Masseria – sarà pure una nuova ripartenza ma senza entusiasmo e con molta frustrazione».
In questo clima così confuso e di generale malcontento c’è anche chi, come Niccolò Giovacchini (Osteria del Campione), si chiede perché non si sia atteso magari qualche giorno in più per poi riaprire tutti senza tutte queste restrizioni. «Non mi sembra che la situazione sia cambiata molto da quando ci è stato detto di riaprire; i contagi mi sembrano rimasti più o meno gli stessi. O chi sta al potere sa qualcosa di cui non siamo ancora a conoscenza o ci hanno preso in giro fino adesso. Onestamente, trovo tutta questa situazione alquanto surreale: ci dicono per esempio di utilizzare solamente gli spazi all’aperto, ma avendo io una vetrata che si può aprire totalmente, perché non permettere anche i posti a sedere all’interno se in totale sicurezza e con i dovuti distanziamenti?». Giovacchini lamenta che da un anno e mezzo non si fa che discutere delle stesse cose, nonostante gli avvicendamenti nelle più alte cariche di governo. «Sarebbe stato meglio rimanere chiusi fino a giugno, andando avanti alacremente con le vaccinazioni, piuttosto che optare per una soluzione raccogliticcia come questa che sa tanto di contentino».
Dello stesso avviso è Stefania Berti, titolare dell’osteria Bice la Gallina Felice, che teme possa accadere quello che è successo alla Sardegna: da unica regione bianca un paio di mesi fa, si ritrova ad essere nuovamente in zona rossa. «Io sono allo stremo, non lo nego, ma il timore che si possa ritornare indietro è tanto. Il mio motto di sempre è stato “ospedali vuoti e ristoranti pieni” ma mi sento di dire che bisogna andarci cauti. Non vedo che i contagi e i decessi siano scesi più di tanto e questo mi preoccupa abbastanza. So che ci sono colleghi molto arrabbiati, lo sono anch’io beninteso. Però mi rendo conto che queste aperture a gocce non aiutano granché; io credo molto nei vaccini e spero anche nella bella stagione e nel clima mite per un netto miglioramento della situazione pandemica».