Mantova ha perso Dalmaschio un filologo dell’immagine

Da cinquant’anni nelle fila dei “novissimi”

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MANTOVA Un’arte concettuale, si diceva anni fa, poiché assecondava l’antico paradosso della “pittura parlante” con cui, citando Simonide, si era soliti definire la poesia. Ma  Francesco Dalmaschio si considerava pittore e scultore a pieno titolo. Era passato con la massima disinvoltura dalle due alle tre dimensioni, sino al punto di scavalcare persino entrambe, e passare così a una sorta di alfabeto tutto suo fatto di segni e tracce su una pergamena ideale fatta di materia pittorica. Insomma, un avanguardista, per certi versi. Un classico per altro. Comunque un artista di cui Mantova soffrirà sicuramente la mancanza. Il maestro si è spento ieri dopo due anni di patimenti, ai quali portava conforto la presenza degli amici. Molti artisti che, come lui, hanno condiviso un percorso di forme e mai assopiti ideali durato quasi mezzo secolo.
Nato nel 1948 a Cerese, ha avvicinato il mondo dell’arte da autodidatta, fermo comunque nell’interesse che lo ha messo in stretto contatto con gli esponenti (locali e non) delle nuove proposte espressive, dando vita a cenacoli che andavano a scavalco fra i simposi degli antichi umanisti e le serate delle avanguardie più o meno storiche. Una sorta di “agape” resa manifesta dal filo comune della voglia di cambiamento.
Era il 1974 quando espose per la prima volta alla Galleria Giulio Romano di San Benedetto, e da lì sono seguite numerose mostre personali e collettive, molto spesso in sedi istituzionali.
Utilizzò di tutto: dai fogli metallici con cui ricalcava sagome di bambolotti, alle trame e orditi (titolo peraltro di una sua rassegna degli anni ’90), ma è proprio in questo periodo che intraprende un nuovo cammino dove la scrittura diventa protagonista dell’immagine. «Con Dalmaschio ho partecipato a numerose iniziative, non solo a Mantova – lo ricorda commosso l’amico e compagno di sperimentazioni artistiche  Roberto Pedrazzoli –. La più recente l’ho condivisa a Piacenza alcuni anni fa, e credo sia stata l’ultima sua uscita ufficiale, oltre a quella tenuta alla Casa del Rigoletto nel 2017. Dal punto di vista della sua proposta artistica, sono convinto che la sua fosse una ricerca particolarmente originale legata alla scrittura come codice immaginario. Sotto questo aspetto questo mi era particolarmente vicino, visto che anch’io me ne occupo. Le sue opere erano una sorta di alfabeto che Francesco elaborava con soluzioni sempre diverse».
La notizia della sua scomparsa, purtroppo non inattesa, ha fatto subito il giro di tutti i circoli culturali destando profondo dolore. Domattina alle 9 i funerali lo accompagneranno in forma civile al cimitero di Cerese.