Marta Magri resta in cella Gli inquirenti: i Loprete erano trasfertisti della ‘ndrangheta

MANTOVA Il gip di Mantova non ha convalidato il fermo emesso nei confronti di Marta Magri dalla Dda di Brescia, ma ha comunque disposto per la stessa la custodia cautelare in carcere accogliendo la richiesta fatta dalla procura di Mantova. La decisione di ieri sulla mancata convalida del fermo è dovuta al fatto che non sussiste il pericolo di fuga per la donna, ma nello stesso tempo il giudice ha accolto le argomentazioni della procura di Mantova che chiedeva la misura della custodia cautelare. Resta dunque in carcere la 56enne di San Giorgio fermata la scorsa settimana dai carabinieri del Nucleo Investigativo perché si era rivolta prima a degli esponenti della ‘ndrangheta e quindi ad altre persone perché le levassero “dalle scatole per almeno sei mesi” il nipote e la cognata con i quali aveva un contenzioso per un’eredità. Una vicenda in apparenza “minimale”, questa, venuta alla luce nell’ambito delle indagini della Dda di Reggio Calabria sulla ‘ndrangheta di Rosarno e sulla famiglia Bellocco, che ha portato all’operazione Magma, ma che mette in luce una fitta ragnatela di rapporti sull’asse Rosarno-Mantova e anche un modo di agire della ‘ndrangheta inedito a queste latitudini. Da questa operazione è stata poi stralciata quella che è stata denominata operazione Hope, per la quale sono finite in manette nove persone: tra queste  Antonio Loprete e il figlio  Giuseppe Loprete, il primo soprattutto ritenuto una figura di spicco della cosa calabrese. Proprio a lui, infatti, si è rivolta in un primo momento la Magri per farsi “togliere dalle scatole” cognata e nipote, e a un altro nipote, questa volta di Antonio Loprete, era stato girato l’incarico. Tale  Francesco Corrao era pronto a prendere la strada per Mantova quando era finito in manette, il 24 gennaio 2018. Senza pensarci troppo su Loprete padre e figlio erano partiti alla volta di Mantova la sera di quello stesso giorno. Cosa legava così tanto i Loprete alla Magri? Secondo gli investigatori c’era una frequentazione pregressa, una conoscenza consolidata che ermerge dalle intercettazioni tra la 56enne e l’esponente dei Bellocco, rapporti di “affari” che avrebbero già visto coinvolta la donna, un’ex assicuratrice con alle spalle diversi precedenti per svariati reati fiscali fra truffe e false intermediazioni. In particolare Antonio Loprete, che si era trasferito ad Asola proprio nel periodo del raid fallito, avrebbe cercato e trovato numerosi contatti al Nord per fare affari senza apparire direttamente e quindi aggirando le leggi anti-mafia. Tra i suoi contatti al Nord c’era anche  Fabio Campagnaro, 49enne padovano cui Marta Magri si era rivolta una volta fallito il raid dei Loprete, intercettati appena arrivati nel Mantovano, oltre ad  Alessandro Gnaccarini, 53enne di Viadana arrestato con il trevigiano  Gianluca Vendrasco in un’altra indagine nata anche questa dall’inchiesta Magma e condotta dai carabinieri del Noe su un traffico illecito di rifiuti. Il quadro che emerge dalle indagini della Dda di Reggio Calabria prima e della Dda di Brescia in seguito, è differente da quello che risultava dalle inchieste Pesci e Aemila sull’infiltrazione della ‘ndrangheta al Nord. Come spiegano gli stessi inquirenti, al contrario della cosca cutrese di Grande Aracri, fortemente radicata sul territorio, quella rosarnese dei Bellocco si insediava temporaneamente nel nostro territorio per portare a termine i propri affari e poi tornarsene alla base. Una sorta di trasfertismo della ‘ndrangheta che nel Mantovano in questi anni ha trovato molti appoggi con grande facilità.