MANTOVA Davanti ai militari dell’Arma, in sede di denuncia-querela, aveva raccontato ogni sorta di vessazione e sopruso da lei subiti nel corso degli anni da parte del proprio marito. Uno sfogo il suo, non avaro di dettagli e particolari significativi, racchiuso alla fine in ben cinque pagine di verbale. Un ennesimo caso di violenza di genere, che aveva quindi fatto scattare immediatamente la procedura legislativa circa il cosiddetto “codice rosso” con relativa indagine lampo dei carabinieri e infine confluite nella misura dell’allontanamento dalle persone offese e nella richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero titolare del fascicolo. Sul banco degli imputati, circa le ipotesi di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, lesioni, percosse e minacce, era così finito lo scorso anno un cinquantenne cittadino pakistano residente ad Asola, in Italia assieme alla moglie 46enne da oltre 18 anni. Stando al quadro accusatorio l’uomo subito dopo il matrimonio, avrebbe riversato in vari modi sulla coniuge tutta la sua recondita gelosia a fronte di paventate relazioni extraconiugali della persona offesa. Il tutto “condito” da botte, insulti, offese, umiliazioni nonché limitazioni delle sue libertà personali come il non poter uscire da sola di casa. Episodi violenti in fotocopia da lui perpetrati, stando sempre all’ipotesi inquirente, anche davanti alle due figlie maggiorenni della coppia. Uno scenario che si sarebbe dunque verificato anche il 23 gennaio 2022 quando la donna, dopo essere stata costretta dal marito a subire un rapporto sessuale, picchiata e minacciata di morte, esasperata, si era quindi presentata in caserma per sporgere denuncia. Ieri però, proseguendo la propria escussione innanzi al collegio giudicante, così come fatto nella precedente udienza, la presunta vittima – costituita parte civile insieme alle figlie con l’avvocato Luigi Medola – ha di fatto ritrattato ogni episodio addebitato al consorte, con cui ancora convive. All’epoca infatti, all’atto della querela, avrebbe volutamente esagerato ingigantendo i fatti in quanto «arrabbiata col marito, reo di sostenere a suo discapito la tesi dell’amante». Alla luce di tali dichiarazioni al pubblico ministero Lucia Lombardo non è rimasto altro da fare che proporre l’assoluzione per l’imputato (difeso dagli avvocati Michele Binelli e Massimo Martini) nonché il rinvio degli atti in procura circa l’ipotesi di falsa testimonianza per le tre parti civili, così come poi confermato in sentenza.