Alla “playa” di Roncoferraro successo per Johnson Righeira

RONCOFERRARO Tutto ebbe inizio nella primavera di quarant’anni fa, quando alle radio e ai juke-box imperversava Vamos a la playa, tormentone diventato uno dei simboli della gioia e della leggerezza degli anni ’80. Eppure la genesi di quel pezzo, che poi fece un botto incredibile raggiungendo il primo posto della hit parade italiana e rimanendovi per sette settimane, fu alquanto anomala. Ce la racconta Johnson Righeira, alias Stefano Righi, il reduce diventato suo malgrado solista dell’ex duo elettropop (con Stefano Rota da tempo i rapporti si sono interrotti), che ieri sera si è esibito con successo alla discoteca Jolly di Roncoferraro.

Dicevamo di Vamos a la playa, il brano che ti ha cambiato la vita.
«Avevo appena registrato un demo in una cantina, aiutato da un gruppo di amici che vi avevano allestito la sala prove. Passò qualche mese e durante questo tempo facemmo anche dei try-test per la realizzazione di un programma televisivo che volevano produrre i fratelli “La Bionda”, ma la cosa poi non andò in porto. Nel frattempo arrivarono le cartoline che ci esortavano a partire per il servizio militare di leva, si decise di entrare in studio e registrammo Vamos a la Playa».
Un successo discografico che il servizio militare non vi fece assaporare appieno. Come andò?
«Entravamo e uscivamo dalla caserma per fare le prime trasmissioni televisive, vivendo il successo quasi da spettatori “esterni”. Quando finimmo di prestare il servizio militare, cominciammo a saltare da un aereo all’altro. Una bella storia»
Il filotto di successi proseguì l’anno successivo con No tengo dinero e, nel 1985, con L’estate sta finendo, con cui vinceste Il Festivalbar. Che ricordi conservi di quel triennio nelle top ten delle classifiche?
«Successe tutto molto in fretta. Fu un vortice di emozioni vissuto in un’epoca che non era ancora figlia e schiava della tecnologia. E particolare da non sottovalutare: avevamo vent’anni».
La partecipazione al Festival di Sanremo fu quasi automatica, sebbene in principio la viveste quasi come un’imposizione.
«Dopo la vittoria al Festivalbar ci volevano a tutti i costi, perciò s’innescò una rincorsa a comporre un pezzo adatto e in grado di fare presa sul pubblico, lavorando sotto pressione. Avevamo visto Sanremo da casa tante volte da bambini e, in quel momento, toccava a noi. Fu però divertente perché noi eravamo abbastanza fuori dagli schemi in quel contesto e devo dire che, nonostante la quindicesima posizione, la canzone (Innamoratissimo, ndr) andò bene scalando le classifiche dei 45 giri».
Stefano, dicci la verità: quanto manca oggi la spensieratezza degli anni ’80?
«Manca soprattutto il crogiolo creativo di quegli anni. Dalla musica all’arte, dalla moda al design, fino ai fumetti: una connessione pazzesca tra discipline dove l’estro e la fantasia primeggiavano. Ma eravamo una generazione attenta e affascinata da tutto quello che succedeva nel mondo».

Matteo Vincenzi