Festival Verdi alle battute finali, ma con ancora un “Boccanegra” da non perdere

PARMA La musica fatta teatro, la musica in forma di concerto, l’affondo verso il sacro, l’intimismo leggero e prezioso di una serata in salotto. La bellezza di questo Festival Verdi di Parma, ormai prossima alle raffiche finali, è nella multiforme capacità di esplorare il testamento del genio di Busseto attraverso il grandangolo dei suoi tanti sguardi. Tra “Un Ballo in maschera” riportato all’originario “Gustavo III” nella germinale regia di Graham Vick ultimata da Jacopo Spirei ed il Simon Boccanegra senza scene scolpito tuttavia con scenica efficacia da Michele Mariotti, nera nella colata lavica della sua dirompente intensità e commozione, lo scorso 2 ottobre giungeva sul palco del Regio di Parma una Messa da Requiem che Daniele Gatti, alla testa della Orchestra sinfonica della Rai di Torino, illuminava di una luce caravaggesca, trafiggente nella notte di un universo oscuro. Uno sguardo sull’abisso insondabile di un uomo tra gli uomini che cerca, nel dolore senza nome della più spaventosa delle domande, “che ne sarà di me?”, di mettersi in ascolto di Dio, di cercarne la presenza nel dolore dei giorni, nell’espiazione delle terrene sofferenze. Un trionfo di applausi lunghi dieci minuti. Gli stessi che, giovedì 7 ottobre, hanno salutato l’ultimo bis di Lisette Oropesa che, accompagnata dal pianoforte di Francesco Izzo, ha regalato al pubblico una serata memorabile, suggellata da una spumeggiante “È strano” tratta da La Traviata, dove a sorpresa, tra il pubblico, si è alzato dalla platea un improvvisato Alfredo dai tratti orientali. Carriera da diva d’altri tempi, semplicità da ragazza della porta accanto, quella del soprano statunitense di origini cubane ha i tratti di una perfetta fiaba del terzo millennio con tanto di lieto fine a meritato suggello di un talento cristallino, capace di muoversi con la medesima flessibilità attraverso un repertorio che dai filati acrobatici Mozart approda sino alle masse sonore di Wagner. Sul leggio della Oropesa, si apriva un ventaglio di arie da camera ad abbracciare i mondi di Mercadante e Bellini, Donizetti e Rossini, con Verdi come stella polare. L’amore, l’abbandono, il dolore. L’essenza della vita raggrumata in fogli d’album, pagine destinate al consumo della buona società cittadina; gemme di un teatro minore e privato che, con una tecnica di assoluto nitore ed una sorprendente freschezza vocale capace di punteggiare ogni accento ed affetto, Oropesa esaltava in tutta la sua sorprendente ricchezza. Ora si guarda al sipario che tra poco calerà su questa edizione 2021. Per chi ancora trovasse un biglietto, corra a sentire Boccanegra, il 16 ottobre prossimo. Tra le sue pagine abitano il profumo del mare, l’amarezza della vita, la gigantesca forza del perdono.
Elide Bergamaschi